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L’era della trasformazione digitale: rischi e vantaggi per la tutela del benessere
L’Italia è il Paese con i più alti livelli di disuguaglianza di distribuzione dei servizi Internet e il 36% dei docenti dichiara di avere urgenti esigenze di sviluppo delle proprie competenze tecnologiche, dice l'Ocse. 22/3/2019
In che modo la trasformazione digitale riesce a influire sulla vita e sul benessere delle persone? Questa è la domanda chiave su cui si concentra “How’s Life in the Digital Age?”, uno studio pubblicato dall’Ocse a febbraio basato sull’analisi dell’impatto dell’innovazione tecnologica sull’economia, la società e la qualità della vita delle comunità. L’intuizione principale su cui si concentra il Rapporto è la teoria secondo cui le tecnologie digitali possono migliorare la vita delle persone, fornendo un livello più ampio di accesso a diverse informazioni e servizi a costi ridotti, ma allo stesso tempo comportare un grave rischio di disparità e disuguaglianza sociale, a causa del divario digitale tra coloro che possiedono le competenze per usare i nuovi strumenti tecnologici e quelli che ne sono privi. L’alfabetizzazione digitale viene quindi considerata dall’Ocse come una condizione necessaria non solo per ottimizzare l’utilizzo delle risorse tecnologiche a disposizione, ma anche per combattere problemi come l’abuso degli strumenti di innovazione digitale, il cyberbullismo o la sicurezza informatica.
Per quanto riguarda i dati concernenti la situazione attuale dell’Italia, lo studio mostra che i rischi della trasformazione digitale superano i vantaggi che ne derivano. L’utilizzo di internet, la cui distribuzione presenta i livelli di disuguaglianza più elevati di tutti i Paesi dell’Ocse, raggiunge il 73% rispetto a una media dell’83%. Essendo quindi relativamente ristretto il numero di persone che usa Internet, i vantaggi in termini di soddisfazione per la qualità della vita che derivano dall’accesso ai servizi digitali risultano estremamente limitati.
Inoltre, nonostante i benefici dati dal calo dello stress da lavoro, dovuto ai posti di lavoro informatizzati, in Italia il settore delle tecnologie dell’informazione riesce a contribuire solo in maniera limitata all’occupazione complessiva e si stima che circa il 15% dei posti di lavoro sia altamente esposto al rischio di automazione.
L’Italia infine viene indicata, all’interno dello studio, come Paese altamente a rischio sul tema del rapporto tra trasformazione digitale e competenze Itc tra i docenti, di cui ben il 36% indica di avere urgenti esigenze in termini di apprendimento e di sviluppo delle proprie capacità e competenze Itc.
La metodologia quantitativa scelta dall’Ocse nel Rapporto, concentrata sulle 11 dimensioni chiave del benessere degli individui (reddito e ricchezza, posti di lavoro e guadagni, alloggi, stato di salute, istruzione e competenze, equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, relazioni sociali, impegno civico e governance, qualità dell’ambiente fisico, sicurezza personale e benessere soggettivo), si rispecchia nella selezione di 33 indicatori di impatto della trasformazione digitale, tra i quali 20 indicatori per monitorare le opportunità offerte e 13 per rifletterne i rischi. L’analisi empirica sviluppata all’interno dello studio mostra però evidenti limiti, dovuti alla mancanza di dati armonizzati e dall’imperfetta copertura degli impatti primari dell’innovazione digitale. Per queste ragioni, l’Ocse ha richiesto alla comunità statistica internazionale di investire maggiori risorse per migliorare le informazioni disponibili, con il fine di sviluppare un’agenda statistica tematica più coerente da un punto di vista scientifico.
Figura 4.17: Il grafico illustra i rischi e le opportunità della trasformazione digitale per l’Italia. Il centro del grafico indica i risultati più bassi tra i Paesi Ocse, mentre il cerchio più esterno mostra i risultati migliori. Per le opportunità (in blu scuro), le barre lunghe indicano risultati migliori, mentre per i rischi (in giallo), le barre lunghe rappresentano i risultati peggiori. In bianco sono evidenziati gli indicatori per i quali non si dispone dei dati.
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Di Cecilia Menichella