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Comunicare la sostenibilità: più linguaggi diversificati e spazio alla scienza
Raccontare meglio la prevenzione dei rischi, ingaggiare artisti, coniugare intrattenimento e temi scientifici. Queste alcune delle sfide da affrontare per la Rai e i media, secondo gli spunti emersi dal Prix Italia. 7/10/22
Si è tenuto a Bari, mercoledì 5 ottobre 2022, l’evento “La sostenibilità va in onda: modalità di racconto a confronto” organizzato dalla Rai in collaborazione con l’ASviS, nell’ambito della 74esima edizione del Prix Italia, il concorso internazionale con cui dal 1948 l’emittente pubblica premia l’eccellenza nelle produzioni Radio, Tv e Web. L’incontro, che fa parte del cartellone del Festival dello Sviluppo Sostenibile (di cui la Rai è media partner), ha voluto favorire un confronto tra diversi protagonisti ed esperti sull’importanza del racconto costruttivo, del linguaggio e della narrazione della sostenibilità.
A moderare l’incontro Roberto Natale, a capo della neonata direzione Rai per la sostenibilità – Esg, che in apertura ha voluto ricordare come l’impegno delle reti Rai su questi temi parta da molto lontano (nel 1973 Piero Angela intervistò Aurelio Peccei su “I limiti della crescita”) e come si sia intensificato ancor di più oggi perché sente il dovere di accompagnare il Paese verso lo sviluppo sostenibile prestando particolarmente attenzione al sociale, affinché la sostenibilità non sia considerata solo un lusso per le élite.
Due le domande con cui Natale ha incalzato gli ospiti: la prima, sul giudizio dato ai media rispetto ai contenuti offerti sui temi della sostenibilità, e la seconda, in che modo la narrazione possa essere migliorata per arrivare soprattutto al pubblico meno attento e sensibile a tali tematiche.
Marcella Mallen, presidente dell’ASviS, ha aperto il suo intervento presentando la ricerca sulla conoscenza della sostenibilità da parte degli italiani - realizzata da Ipsos per conto dell’Alleanza - da cui emerge che la quasi totalità conosce il concetto di sviluppo sostenibile, ma poco più del 40% conosce l’Agenda Onu 2030 e per due cittadini su tre la pandemia, la crisi climatica e la guerra in Ucraina impongono un maggiore impegno a tutti i livelli per realizzare lo sviluppo sostenibile. “Nonostante tutte le difficoltà - ha ribadito Mallen - i segnali di ottimismo quindi ci sono e la comunicazione deve accompagnare questa fase di transizione facendo da ponte tra gli obiettivi da raggiungere e i benefici per le comunità. Bisogna fare lo sforzo di sottolineare le opportunità di questo passaggio e non solo le criticità”. Lo si può fare mescolando i tipi di linguaggio, innovando la comunicazione, fornendo ai cittadini nuovi elementi di conoscenza con quella leggerezza che caratterizza l’intrattenimento, rendendo semplice ciò che è complesso – ha continuato la presidente dell’Alleanza. “Lo spazio che come ASviS abbiamo avuto su Uno Mattina con il Glossario della sostenibilità ne è un esempio”.
A seguire Marco Modugno, portavoce di Fridays for future, pur riconoscendo la qualità di alcuni programmi Rai più focalizzati sugli aspetti scientifici, ha posto l’accento sull’esigenza di estendere ulteriormente l’offerta per arrivare a un pubblico più ampio possibile. E, partendo dalla sua esperienza personale di attivista, ha rimarcato la tendenza dei media a voler necessariamente avere un volto riconoscibile su cui focalizzare l'attenzione, come nel caso di Greta Thunberg, spesso a discapito della complessità dei temi. Sul fronte delle proposte Modugno ha le idee chiare: bisogna innovare i programmi didattici, superare l’approccio a silos delle materie, parlare agli studenti anche della contemporaneità. E anche i media devono superare l’impostazione adottata finora dove chi dice le cose come stanno viene considerato catastrofista, mentre dall’altra parte sembra esserci la speranza. “Non è così, tutti abbiamo una responsabilità”.
Il terzo intervento è stato quello di Luca Mercalli, climatologo e comunicatore scientifico, che è partito dal sottolineare come la complessità dei temi trattati richieda tempo ma anche l’impiego di diversi linguaggi: non solo documentari o interviste a esperti, ma anche letteratura e narrativa. “Oggi ci troviamo nella dinamica del medico che dice al paziente che se continua una certa dieta, starà sempre più male. Non è catastrofismo, ma la situazione è davvero catastrofica, la cosa importante è non fermarsi a questo e ribadire che una cura c’è. Troppo spesso la tv preferisce raccontare il dolore, che non porta da nessuna parte, anziché dare spazio agli esperti per spiegare perché quel tale fenomeno è avvenuto”. Inoltre, quando si chiedono ai cittadini rinunce o cambiamenti di stile di vita, chi predica deve averli provati e saperli spiegare anche con i numeri giusti, altrimenti c’è troppa asimmetria tra realtà e racconto. “C’è troppo attendismo. Dobbiamo fare una chiamata alle armi come Churchill”.
Simonetta Giordani, segretario generale dell’associazione Civita, ha parlato dell’importanza della dimensione sociale spiegando come esista, da una parte, un tema di cultura della sostenibilità ovvero di alfabetizzare ed educare alla sostenibilità, e dall’altra un tema di sostenibilità della cultura. “La cultura è uno strumento di coesione sociale, suscita orgoglio di appartenenza ed è quindi capace di minimizzare le esternalità negative e di massimizzare quelle positive. Ma mentre per misurare l’impatto ambientale esistono strumenti ben precisi, sulla progettualità culturale è molto più complicato”. Giordani si è poi soffermata sul tema dei comportamenti individuali, sottolineando come siano la vera svolta in questo momento, senza aspettare soluzioni dall’alto. “Credo che la Rai abbia un ruolo strategico perché hai dei mezzi potentissimi come le serie televisive dove, se si scelgono come protagonisti professori, o scienziati o attivisti per il clima, si possono diffondere modelli che poi verranno emulati, facilitando una metabolizzazione del messaggio.”
“I toni degli articoli sulle più importanti riviste scientifiche stanno diventando davvero drammatici. Questo vuol dire che il messaggio del cambiamento climatico è chiaro ed è grave. Per 50 anni si è cercato di parlare di un problema, ma senza riuscire a far passare il messaggio. E ora non c’è più negazionismo, c’è il dilazionismo”. Così è intervenuto Telmo Pievani, filosofo e comunicatore scientifico, che ha posto l’accento sull’esigenza di accompagnare i dati a una narrazione più compiuta, “perché i soli numeri comunicati con ripetitività generano assuefazione e quindi disattenzione. Per convertire i ‘non sensibili’ dobbiamo investire sui social, ma c’è un’onda di consapevolezza anche nei linguaggi letterari ed artistici”. Criticando poi le modalità di racconto delle ultime tragedie frutto dei cambiamenti climatici, ha affermato: “Queste non sono calamità, saranno la normalità del futuro. Non dobbiamo piangere le vittime, ma ragionare su come prevenire il rischio che questi fenomeni accadano. Bisogna abolire questo modo emergenziale e ipocrita di raccontare questi temi, bisogna adottare un modo più illuminista e razionale.”
Vincenzo Schettini, fisico, insegnante, TikToker e autore del libro “La fisica che ci piace”, ha posto l’attenzione sul modo in cui la tv tratta i temi scientifici, ovvero in maniera separata e distaccata, come se la cultura scientifica non potesse essere anche intrattenimento. “È impensabile nel 2022 non interagire con il pubblico che, se coinvolto, poi si sente responsabile. Bisogna spiegare concretamente alle persone come funzionano le cose: ad esempio come funziona un pannello fotovoltaico. Bisogna far capire “l’energia” e spiegare il cambiamento. Questo deve avvenire attraverso la mescolanza di linguaggi. La gente è pronta al cambiamento del racconto e la Rai è avvantaggiata rispetto al mondo social perché la televisione ha tempi più dilatati, mentre in rete la comunicazione è sempre molto veloce e ipersintetica. Noi non possiamo fermare l’orologio del disastro ma ci dobbiamo provare”.
di Elita Viola