Rubrica: Europa e Agenda 2030
Rapporto Draghi: futuro della competitività sfida esistenziale per l’Ue
Dal rapporto Draghi sulla competitività, necessarie riforme radicali per una più forte cooperazione tra Stati membri, capacità d’investimento aggiuntiva per circa il 5% del Pil assicurando l’inclusione e l’equità sociale.
Il 9 settembre è stato formalmente presentato da Mario Draghi alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen l’atteso rapporto sul futuro della competitività europea.
Nel suo breve intervento introduttivo alla conferenza stampa di presentazione del rapporto, von der Leyen ha richiamato alcuni punti dei suoi orientamenti politici riconoscendo come gli stessi siano stati arricchiti dagli scambi d’idee con Draghi avvenuti durante la preparazione del rapporto. Questo scambio è stato facilitato, come precisa von der Leyen, condividendo un accordo su due principi fondamentali, ovvero che l'unico modo per garantire la nostra competitività a lungo termine è quello di abbandonare i combustibili fossili e passare a un'economia pulita, competitiva e circolare e che i nostri sforzi sulla competitività devono andare di pari passo con una maggiore prosperità per tutti in Europa e che tutte le trasformazioni che metteremo in moto devono essere eque.
Richiamando l’attenzione espressa dai leader europei in sede di Consiglio, von der Leyen sottolinea l’ampio consenso nel porre in cima alla nostra agenda, al cuore della nostra azione il raggiungimento da parte dell’Ue di una più solida posizione in un mondo sempre più caratterizzato da una forte concorrenza economica.
Nel suo rapporto Draghi parte dalla constatazione di fatto che già dall’inizio di questo secolo l’Europa si sta preoccupando del rallentamento della sua crescita e che le diverse politiche varate per rispondere al fenomeno non hanno comunque modificato questa tendenza.
Come precisa l’ex presidente della Bce si tratta di un rallentamento della produttività dell’Ue che in fase transitoria non ha particolarmente inciso sull’economia dell’Unione che ha potuto comunque contare su di un contesto globale favorevole anche grazie alla stabilità geopolitica dove gli esportatori europei sono riusciti a conquistare quote di mercato nelle parti del mondo in più rapida crescita, contando sulla disponibilità di energia a prezzi contenuti attraverso i rapporti commerciali con la Russia.
Lo scenario di oggi è però radicalmente cambiato. Le dipendenze dell’Europa si sono rivelate come vulnerabilità di sistema, a cui è prioritario rispondere aumentando la produttività. Draghi indica la necessità di incrementare gli investimenti in Ue per circa il 5% del PIl complessivo perseguendo gli obiettivi di digitalizzazione, decarbonizzazione e rafforzamento della capacità di difesa. Facendo il paragone con gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 che ammontavano a circa l'1-2% del Pil all’anno, Draghi evidenzia che ciò rappresenta uno sforzo senza precedenti. Ma irrinunciabile rappresentando una sfida esistenziale per l’Ue: se l'Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. Non saremo in grado di diventare, contemporaneamente, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. Si tratterebbe di fatto per l’Europa di non essere in grado di rispettare i suoi valori fondanti identificati con la prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile: l'Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l'Europa non può più fornirli ai suoi cittadini, o deve scegliere tra l'uno con l'altro, avrà perso la sua ragione d'essere. L'unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l'unico modo per diventare più produttivi è che l'Europa cambi radicalmente.
Le azioni da mettere in atto vengono articolate in tre aree:
- colmare il divario d’innovazione. L’Europa deve riorientare profondamente i propri sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate. L’Europa deve sbloccare il proprio potenziale innovativo per non rimanere indietro, in particolare rispetto alla “rivoluzione” dell’intelligenza artificiale, specificando che una parte centrale di questo programma sarà fornire agli europei le competenze di cui hanno bisogno per trarre vantaggio dalle nuove tecnologie, in modo che tecnologia e inclusione sociale vadano di pari passo. Il rapporto sottolinea che l'Europa dovrebbe puntare a eguagliare gli Stati Uniti in termini di innovazione, e puntare a superarli nell'offrire opportunità di istruzione e di apprendimento per adulti, nonché buoni posti di lavoro per tutti lungo tutto l'arco della loro vita.
- adottare un piano congiunto decarbonizzazione-competitività, coordinando le politiche in modo che i benefici della decarbonizzazione siano orientati agli utenti finali abbattendo il costo dell'energia quale uno dei principali ostacoli alla competitività europea. In proposito il rapporto evidenzia che anche con la recente riduzione dei prezzi dell’energia, dopo l’ultima crisi, le aziende dell'Ue devono ancora affrontare, rispetto a quelli degli Stati Uniti, prezzi dell'elettricità che sono 2-3 volte superiori e prezzi del gas naturale 4-5 volte più alti. Le azioni necessarie dovranno riguardare anche le relative regole di mercato e i profitti catturati dai trader finanziari che aumentano i costi energetici per la nostra economia. Il coordinamento delle politiche per la decarbonizzaizone deve poi concentrarsi sul potenziamento dell’industria per le tecnologie pulite e l’automotive affinché diventi anche una fonte di crescita per l’industria Europa, evitando che una crescente dipendenza dalla Cina nell’approvvigionamento di queste tecnologie, supportate da una concorrenza sponsorizzata dallo Stato cinese, rappresenti una minaccia per le nostre industrie
- aumentare la sicurezza e la riduzione delle dipendenze. In questo ambito si concentrano le risposte che l’Ue deve dare all’instabilità geopolitica e ai relativi crescenti rischi che aumentano l'incertezza e frenano gli investimenti, che possono determinare shock e arresti improvvisi del commercio, destabilizzando l’economia dell’Ue. Come indica il rapporto, l’Ue deve ridurre le proprie vulnerabilità da coercizione, dovrà coordinare accordi commerciali preferenziali e investimenti diretti con nazioni ricche di risorse, accumulando scorte in aree critiche selezionate creando partnership industriali per garantire la filiera di fornitura di tecnologie chiave, agendo in unità tra Stati membri quale condizione necessaria per creare un forte leva di mercato a benefico dell’Ue nel suo insieme e degli stessi singoli Stati.
Enunciando la pace come il primo e principale obiettivo dell’Europa, Draghi condivide comunque la considerazione che le minacce alla sicurezza fisica stanno aumentando e dobbiamo prepararci. Il rapporto mette in evidenza il dato che l’entità della spesa militare dei 27 Stati membri dell’Ue è al secondo posto al mondo, ma che ciò non si riflette nella nostra capacità industriale di difesa a causa della frammentazione tra i diversi Stati che impedisce lo sfruttamento delle economie di scala.
Come sintetizzato nella prefazione al rapporto, al fine di conseguire i risultati, sarà necessario rimuovere gli ostacoli identificati in tre aree specifiche:
- la prima è la mancanza di una visione chiara per l’Europa, rappresentata dalla contraddizione che avviene allorché l’Ue definisce obiettivi comuni che poi non vengono poi sostenuti stabilendo conseguenti priorità chiare o dando seguito ad azioni politiche congiunte. Ad esempio affermiamo di favorire l’innovazione, ma continuiamo ad aggiungere oneri normativi alle aziende europee, che sono particolarmente costosi per le Pmi e controproducenti per quelle nei settori digitali. Abbiamo inoltre lasciato il nostro Mercato unico frammentato per decenni, il che ha avuto un effetto a cascata sulla nostra competitività.
- in secondo luogo, il rapporto valuta che l'Europa sta sprecando le sue risorse comuni. Pur sussistendo un grande potere di spesa collettivo, il rapporto valuta che questa capacità è resa scarsamente efficace poiché diluito su molteplici strumenti nazionali e a livello di Ue, laddove sarebbe necessario ottimizzarne l’efficacia sfruttando le economie di scala con un più forte cooperazione tra Stati membri.
- in terzo luogo, l'Europa non coordina dove serve. Il rapporto evidenzia gli Stati Uniti e la Cina hanno la capacità di combinare insieme più politiche in maniera coerente. Nel caso delle politiche industriali mettono insieme politiche fiscali per incoraggiare la produzione interna, politiche commerciali per penalizzare i comportamenti anti-concorrenziali, politiche estere per proteggere le catene di fornitura. Al contrario l’Ue non è in grado di esercitare la stessa capacità a causa del suo processo di definizione delle politiche lento e disaggregato nei diversi livelli nazionali. La risposta richiederebbe dunque un alto grado di coordinamento tra gli sforzi nazionali e dell’Ue, mentre la valutazione del rapporto è che ad oggi già al solo livello dell’Ue le decisioni vengono solitamente prese questione per questione con più attori con potere di veto lungo il percorso. Il risultato è un processo legislativo con un tempo medio di 19 mesi per concordare nuove leggi, dalla proposta della Commissione alla firma dell'atto adottato, e prima ancora che le nuove leggi vengano implementate negli Stati membri.
Il rapporto presenta simulazioni ed offre valutazioni per rispondere poi alla domanda chiave su come l'Ue dovrebbe finanziare le massicce esigenze di investimenti che la trasformazione dell'economia comporterà. Le conclusioni di sintesi affermano in primo luogo che l'Europa deve progredire con la sua Unione dei mercati dei capitali, ma senza un decisivo sostegno del settore pubblico, il settore privato non potrà sostenere la parte del leone nel finanziare gli investimenti necessari. In secondo luogo, e allo stesso tempo, più l'Ue è disposta a riformarsi per generare un aumento della produttività, più spazio fiscale aumenterà e più facile sarà per il settore pubblico fornire questo sostegno.
A fronte dell’urgenza di agire per attuare le radicali riforme elencate in dettagliatamente nel rapporto, Draghi in chiusura alla prefazione ammonisce la politica ad abbandonare l’illusione che solo la procrastinazione può preservare il consenso. Di fatto la procrastinazione ha prodotto solo una crescita più lenta e non ha certamente ottenuto più consenso. Siamo arrivati al punto in cui, senza azione, dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà.
Lanciando infine il messaggio di speranza: le ragioni per una risposta unitaria non sono mai state così impellenti e nella nostra unità troveremo la forza per riformarci.
di Luigi Di Marco
Consulta la rassegna dal 29 luglio al 9 settembre
Fonte copertina: European Parliament, da flickr.com