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Nazioni unite: dopo il Coronavirus il mondo deve cambiare passo, servono nuovi approcci
“Ricostruire meglio” dopo la pandemia, è l’imperativo che le Nazioni unite hanno lanciato. Quaranta milioni di persone rischiano la povertà estrema. 26/8/20
Le Nazioni unite rivestono un ruolo centrale nelle sfide globali e nella promozione dello sviluppo sostenibile. Negli ultimi tempi, nonostante la crisi del modello multilaterale delle relazioni internazionali, la partita è diventata ancora più importante, estendendosi fino a comprendere tutti gli aspetti necessari a coordinare la ripresa dopo la pandemia. I dati che sono stai pubblicati dal Department of economic and social affairs (Desa) dell’Onu nel report "Recover better: economic and social challenges and opportunities", denunciano una situazione di estrema gravità: nel mondo circa 40 milioni di persone rischiano di scivolare in condizioni di povertà estrema, “invertendo una tendenza durata oltre due decenni”. Una situazione che rischia di colpire duramente soprattutto i settori più fragili della popolazione. Infatti circa 1,6 miliardi di persone impiegate nel settore informale senza contratto potrebbe vedere volatilizzare i propri mezzi di sussistenza senza che si attivi una qualsiasi forma di tutela sociale. “Numeri come questi sono indicativi degli immensi rischi del non agire rapidamente, in modo coerente e coordinato” hanno scritto gli autori nell’introduzione. Allo stesso tempo, indicano gli analisti, l'imperativo deve essere “ricostruire meglio”.
Secondo gli autori del documento, è necessario avviare un giro di vite culturale sulle valutazioni di natura economica. Per esempio, nel valutare la situazione del debito pubblico di un Paese sarebbe opportuno “porre maggiore enfasi sulle variabili di flusso (come il rapporto tra il costo del servizio del debito e le entrate da esportazioni) piuttosto che sulle variabili di stock (come il rapporto debito/pil). D’altra parte, i dirigenti politici dovrebbero effettuare investimenti significativi nelle attività suscettibili di sviluppo per facilitare un'equa e migliore integrazione dei loro Paesi nelle catene del valore regionali e globali, massimizzando l’impatto degli investimenti negli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) e minimizzando i rischi associati. Ancora: la politica dovrebbe ripensare il ruolo del settore privato nella società e partecipare tra l’altro al processo di riduzione dei rischi che circondano il finanziamento e la gestione degli investimenti.
Il report “Recover better: economic and social challenges and opportunities” sottolinea come le istituzioni multilaterali siano necessarie anche per mettere in comune le conoscenze relative agli obiettivi fissati dalla Agenda 2030, per esempio per avviare uno studio più sistematico e approfondito delle strutture produttive dei diversi Paesi, in modo da contribuire con più efficacia al raggiungimento degli SDG. In particolare, gli analisti sottolineano “che la ricerca sulla trasformazione strutturale rimane eccessivamente focalizzata sul lavoro teorico inapplicabile e sulle differenze ideologiche”. Sviluppare e mettere in comune esperienze di successo rappresenta un passaggio fondamentale per governare i quattro temi centrali per il futuro: la crescita, l’occupazione, le disuguaglianze e l'ambiente. I governi dovranno svolgere un ruolo importante nell'incoraggiare e realizzare ciò che gli autori definiscono "investimenti in uscita", ovvero investimenti a tempo indeterminato con rendimenti incerti, ma che consentono a un Paese di continuare la trasformazione strutturale anche quando si trova in una situazione di crisi economica. Per trasformare la struttura produttiva in questo senso “non si può fare affidamento solo sulle forze di mercato, sarebbe necessario un mix di politica industriale e politiche macroeconomiche, che includono una varietà di politiche anticicliche e macroprudenziali specifiche del contesto”, si legge nel report.
Agire in questo senso rappresenta anche una tutela per la stabilità economica e politica dei Paesi. “Una società con grandi disuguaglianze incide anche sulla struttura produttiva dell’economia”. Le grandi differenze economiche tra la popolazione “erodono la fiducia e lo spirito di cooperazione all'interno di un'economia, il che limita la possibilità di creare politiche industriali e macroeconomiche compatibili con il cambiamento” in chiave sostenibile. “I gruppi avvantaggiati, che hanno un'influenza sovradimensionata in una società altamente diseguale, favorirebbero la produzione di beni privati, piuttosto che finanziare beni pubblici che possono creare opportunità e capacità per la maggior parte della popolazione, offuscando così la prospettiva di un cambiamento strutturale”.
Si tratta di un processo di cambiamento strutturale che rischia di essere bloccato dal Covid. Anche i Paesi più fragili - come le fette più deboli della popolazione - sono stati colpiti più duramente dagli effetti economici della pandemia.
In questo contesto di enorme difficoltà occorre scongiurare il rischio concreto che i Paesi arretrati possano scegliere soluzione di corto respiro, abbandonando la strada verso lo sviluppo sostenibile. Negli ultimi decenni, infatti, si è assistito alla crescita del consumo di risorse naturali, soprattutto tra i Paesi a reddito medio-alto e medio-basso. “Senza azioni immediate e concertate per frenare l'uso delle risorse naturali, comportamenti normali significherebbero che l'uso globale delle risorse naturali potrebbe più che raddoppiare entro il 2060” spiega il report. Una vera emergenza che porterebbe ad aumenti significativi delle emissioni di carbonio, a problemi nella distribuzione delle risorse idriche generando incertezza e minacciando la sicurezza alimentare.
Per mettere in comune ed aprire il dibattito necessario, la Desa, oltre ad aver pubblicato il report “Recover better: economic and social challenges and opportunities”, ha raccolto anche i testi che sono emersi durante una serie di incontri, unendoli in un documento dal titolo “Responding to Covid-19 and recover better”. Il documento mira a fornire un’analisi dettagliata e concrete linee-guida per impostare un processo decisionale efficace a livello globale, regionale e nazionale che tenga conto degli SDGs.
Per quanto gli effetti della pandemia e del blocco delle attività produttive sembra aver allontanato il raggiungimento dei traguardi fissati dalla Agenda 2030, proprio il Covid sta obbligando la comunità internazionale a compiere scelte condivise. Il virus, infatti, ha accentuato il rallentamento della crescita economica che era iniziato già prima della diffusione della pandemia. Secondo il rapporto dell’Onu due erano i fattori principali che rallentavano lo sviluppo: da una parte la lentezza con cui progredivano i cambiamenti strutturali e dall’altra la modesta entità della spesa per la ricerca e lo sviluppo. Un duplice sforzo a livello nazionale per promuovere uguaglianza e cambiamento strutturale dell’economia è sicuramente necessario per uno sviluppo sostenibile, ma dovrebbe essere integrato all’interno di un nuovo modello di governance multilaterale. Il modello deve riconoscere le asimmetrie strutturali presenti nell'economia globale e deve porre al centro delle sue politiche l’esigenza di fornire beni pubblici globali sotto forma di facilitazione degli spillover tecnologici; la definizione di norme internazionali in materia di lavoro e protezione sociale; il raggiungimento di accordi sulle emissioni di carbonio; e la regolamentazione dei flussi di capitali finanziari. Sul fronte della cooperazione multilaterale, inoltre, nonostante alcuni sviluppi positivi relativi a nuovi accordi commerciali, l’analisi sottolinea che la comunità internazionale deve continuare a difendere il multilateralismo e affrontare molteplici questioni legate agli scambi, sotto il coordinamento dell'Organizzazione mondiale del commercio.
di William Valentini