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“Investendo in resilienza e sicurezza alimentare si può combattere la fame e costruire la pace”, 28 aprile 2016
Il rapporto Fao “Peace and food security, 2016” spiega il legame tra la pace e la fame nei paesi afflitti da guerre civili e nei paesi in via di sviluppo
Con l’ultimo rapporto pubblicato, la Fao analizza e spiega il rapporto che lega la fame e la povertà con i conflitti civili e l’instabilità politica nei paesi coinvolti in guerre interne. In particolare, il rapporto si sofferma sul circolo vizioso che si è instaurato, facendo della fame e della mancanza di sicurezza alimentare causa ed al tempo stesso effetto delle guerre civili, soprattutto nelle nazioni di Nord e Centro Africa.
La relazione messa in luce dal rapporto della FAO è duplice: da una parte la fame e la insicurezza alimentare nascono dai profondi contrasti sociali, dall’instabilità politica e, soprattutto, dalle guerre civili che affliggono alcuni paesi; dall’altra, questi stessi fenomeni sono contemporaneamente alimentati e causati, indirettamente, dall’impossibilità per gran parte della popolazione di accedere agevolmente alle risorse alimentari. Il fondamento di questa dinamica e di questa reciproca interazione risiede nel fatto che “la maggior parte dei conflitti civili colpiscono aree rurali e la popolazione ivi residente, con grave impatto sulla produzione agricola” (Simmons, 2013). E infatti, nei paesi sottoposti all’osservazione della Fao, l’agricoltura copre circa due terzi dell’occupazione totale e un terzo del Pil. Da qui la bi-direzionalità del rapporto: da una parte “i conflitti tendono ad avere un incontestabile forte impatto negativo sulla fame e sulla sicurezza alimentare”, dall’altra, come detto, “l’alto prezzo delle risorse alimentari e la mancanza di accesso ad esse hanno contribuito e contribuiscono alla instabilità politica e alla guerra civile”.
Per la prima direzione del rapporto, quella, cioè, che lega l’aumento della fame e delle difficoltà di accesso alle risorse alimentari ai fenomeni di guerriglia interna, le prove sono inconfutabili e i dati sono certi e pacifici anche nella letteratura economica. I conflitti, infatti, specialmente quelli interni determinano “diversi ed enormi costi che possono significativamente impedire lo sviluppo economico e sociale. […] I conflitti possono ridurre le risorse alimentari disponibili, limitare l’accesso delle famiglie al cibo e mettere a rischio il soddisfacimento di future necessità di nutrizione.” Sebbene le cause ed anche le conseguenze del conflitto possano essere differenti nelle differenti aree di conflitto, il rapporto ha individuato le caratteristiche che indistintamente accomunano le zone di guerra: distruzione delle reti di trasporto delle risorse; allontanamento della popolazione maschile dalla campagne con conseguente diminuzione della produzione agricola; distruzione e dissoluzione delle riserve alimentari.
Per la direzione inversa, invece, quella che vorrebbe le guerre fondate sulla fame, la questione è più opaca. La pubblicazione della Fao, infatti, tiene a precisare che le guerre civili sono sempre dovuti a “fattori straordinari, improvvisi e imponderabili”, tra i quali “senza dubbio contribuisce, in larga misura, ma non in esclusiva, la fame”. In questi paesi, il cui tasso di denutrizione è tre volte più alto rispetto ad altri paesi in via di sviluppo e la povertà è del 20% più alta, il processo è dunque indiretto: la povertà e il disagio sociale, dovuti alla mancanza, per esempio, di accesso alle risorse e quindi all’alto prezzo del cibo, contribuiscono a determinare malcontento, instabilità sociale e politica. Il caso portato a esempio dal Rapporto della Fao è quello della Primavera Araba e delle rivoluzioni turche. Si prepara così il terreno per guerre civili, in paesi che ne sono usciti magari solo da qualche anno. Secondo il rapporto, infatti, “paesi usciti da un conflitto civile e caratterizzati da alta insicurezza alimentare hanno una probabilità del 40% rispetto ad altri paesi in via di sviluppo di ricadere in una guerra civile entro 10 anni.
“Every day in 2014, conflicts and violence forced approximately 42,500 people to flee their
homes and seek safety either internally or across borders. Fewer refugees (only 1%) have returned, less than at any point over the past 30 years.”
Dal rapporto Fao emerge la dimensione integrata dei Sustainable Development Goals (SDGs), che non a caso sono più volte richiamati all’interno dello stesso. In particolare, gli Obiettivi 1 e 2, “Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo” e “Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile” sono nel rapporto implicitamente, ma al tempo stesso manifestamente connessi con l’Obiettivo 16 “Promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile”.
Ma non solo: la pubblicazione della Fao mette in luce come anche il raggiungimento della parità di genere si pone sia come Obiettivo (Parità di genere, SDG 5) sia come strumento, in paesi come la Somalia o la Repubblica del Congo, per il raggiungimento di una agricoltura sostenibile e inclusiva: “closing the gender gap in agriculture would generate significant gains for the agriculture sector and help build peaceful and inclusive societies”.
A cura di Carlo Maria Martino
28/04/16