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Sipri: La modernizzazione delle armi mette a rischio la denuclearizzazione
Il 2018 è stato un anno in chiaroscuro per la proliferazione atomica: se da una lato il dialogo tra le potenze sta portando ad un progressivo disarmo, nuove tensioni e tecnologie innovative rischiano di vanificare i progressi. 26/6/2019
Nel corso del 2018, sul fronte dei conflitti, degli armamenti e del loro controllo, del disarmo e della denuclearizzazione, qualcosa è senz’altro migliorato. Ma qualcosa è anche peggiorato. A dirlo è il prestigioso Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), nel suo 50° Annuario, pubblicato il 17 giugno.
Per esempio, il 2018 è stato l’anno che ha registrato il disgelo tra i due Paesi che convivono lungo la penisola coreana, che ha salutato l’avvio del dialogo tra Stati Uniti e Corea del Nord e la conclusione dell’accordo di pace tra Eritrea ed Etiopia, che ha finalmente visto crescere l’attenzione internazionale intorno al conflitto nello Yemen e consolidarsi l’impegno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nell’affrontare l’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza internazionale. È stato però anche l’anno che ha visto gli Stati Uniti ritirarsi dall’accordo sul nucleare con l’Iran, nonché dal Trattato sulle forze nucleari di medio raggio, o INF (Intermediate Nuclear Forces), firmato nel lontano 1987 da Reagan e da Gorbaciov, e sempre rinnovato nonostante gli americani nutrissero qualche sospetto sull’effettivo impegno dei russi a rispettarlo.
Anche sul fronte della limitazione delle armi nucleari, l’anno appena trascorso registra qualche innegabile successo, che però rischia di essere più apparente che reale. Da una parte, infatti, è continuata la riduzione delle testate nucleari complessive presenti sulla Terra. Queste sono passate da 14.465 registrate a inizio 2018 a 13.865 a inizio 2019, con una riduzione, quindi, di 600 testate. Il calo è dovuto in larga parte a Stati Uniti e Russia, che rispettano le riduzioni previste dal Nuovo Trattato sulla riduzione e limitazione delle armi strategiche offensive (Nuovo Start), in vigore dal 2010. Vale la pena di ricordare che da soli questi due Paesi detengono circa il 90% di tutte gli armamenti nucleari esistenti.
La notizia preoccupante, secondo il Sipri, è che, nonostante diminuisca il numero delle testate, continua la loro modernizzazione. Non solo: delle 13.865 testate di cui si ha notizia, 3.750 sono situate presso forze operative (missili o basi operative) e circa 2.000 sono in stato di allerta, pronte a entrare in funzione in qualsiasi momento. Inoltre, l’accordo Nuovo Start scade nel 2021, salvo il caso che Stati Uniti e Russia non decidano di estenderlo - la possibilità di una estensione di cinque anni era stata inserita nel Trattato originario. Al momento però non c’è alcun negoziato in corso. Secondo Shannon Kile, direttore del programma Sipri sul disarmo, la prospettiva di una nuova negoziazione del Trattato appare “altamente improbabile”. E tutto questo, ricorda sempre Shannon, avviene in uno scenario in cui crescono le tensioni geo-politiche in molte località del mondo.
A parte Stati Uniti e Russia, il restante arsenale nucleare è detenuto da altri sette Paesi: di questi, solo la Gran Bretagna (come pure gli Usa) fornisce dati ritenuti adeguati e veritieri dal Sipri; la Francia è ritenuta fornire “qualche informazione”. La Cina, l’India e il Pakistan forniscono dati sullo stato e le dimensioni dei loro arsenali che il Sipri giudica lacunosi. Comunque, nel 2018 sia India che Pakistan hanno manifestato l’intenzione di accrescere le dimensioni delle loro armi nucleari. Per quanto riguarda la Corea del Nord, nessuna informazione ufficiale è disponibile. Il Paese sembra voler porre lo sviluppo di un consistente arsenale nucleare come un elemento centrale della propria politica di sicurezza nazionale, anche se ha annunciato una moratoria sui test nucleari e sui sistemi missilistici a medio e a lungo raggio. Rimane lo stato di Israele, che non ha mai fornito alcuna informazione sulle proprie armi nucleari. In questo, il comportamento di Israele non è poi così diverso da quello della Russia, che però, pur senza fornire pubblicamente un rapporto dettagliato sulle proprie forze nucleari, sotto l’accordo Nuovo Start condivide queste informazioni con gli Stati Uniti.
di Maurizio Russo