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Dal World economic forum un nuovo modo per misurare il benessere
L’indice di sviluppo inclusivo propone un modello di crescita che ponga le persone e gli standard di vita al centro delle scelte collettive, riducendo il peso del Pil nelle strategie macroeconomiche. Italia al 27° posto.
“Viene gestito ciò che viene misurato, e il primato delle statistiche sul Pil tende a rafforzare l'attenzione prestata dai leader politici e aziendali alle politiche di stabilità macroeconomica e finanziaria, a discapito di misure sociali e servizi di base”. Così si apre il documento del World Economic Forum "The Inclusive Development Index 2018", uscito il 16 gennaio 2018.
Questo documento fa il punto sull'innovativo sistema di misura della crescita economica, l'Indice di sviluppo inclusivo (Idi), introdotto dal World Economic Forum già l'anno scorso, e sulle analisi compiute tramite questo strumento. Questo indice consiste in una valutazione annuale della performance economica di 103 Paesi in tutto il globo, misurando come le nazioni si comportano in undici dimensioni del progresso economico. Il modello ha tre pilastri fondamentali: crescita e sviluppo; inclusione ed equità intergenerazionale: gestione sostenibile delle risorse naturali e finanziarie.
I governi spesso falliscono nel percepire i vantaggi e il potenziale di politiche in queste aree. La sottostima di queste politiche rispetto a misure macroeconomiche, commerciali e finanziarie, è un motivo chiave per comprendere il fallimento nel mobilitare una risposta più efficace contro le disuguaglianze e il ristagno del reddito medio.
Questo squilibrio politico è rafforzato dalla misura dominante nella performance economica nazionale, il prodotto interno lordo (Pil), afferma il Rapporto. La maggior parte dei cittadini valuta il progresso economico dei rispettivi Paesi non più con le statistiche pubblicate sulla crescita del Pil ma con i cambiamenti del tenore di vita delle famiglie - un fenomeno multidimensionale che comprende reddito, opportunità di lavoro, sicurezza economica e qualità della vita. “Eppure, la crescita del Pil rimane l'obiettivo principale sia dei politici che dei media, ed è ancora la misura standard del successo economico”. I dati dell'indice di sviluppo illustrano che la crescita è una condizione necessaria ma non sufficiente per raggiungere tenore di vita medio sodisfacente. Di conseguenza, sia i politici che i cittadini trarrebbero vantaggio dall'avere un sistema di misurazione alternativo, o almeno complementare, che misuri il livello e il tasso di miglioramento nel progresso socioeconomico condiviso.
Il rapporto raggruppa le economie in due gruppi: avanzate ed emergenti. Dal Rapporto risulta che la Norvegia è l'economia avanzata con le migliori performance nel 2018: si colloca al secondo posto in uno dei tre pilastri dell'indice (equità intergenerazionale e sostenibilità) e al terzo posto su ciascuno degli altri due (crescita, sviluppo e inclusione). Le piccole economie europee dominano l'indice, con l’Australia (9) come unica economia non europea tra le prime dieci. Delle economie del G7, la Germania (12) è la più alta in classifica, seguita dal Canada (17), dalla Francia (18), dal Regno Unito (21), Stati Uniti (23), Giappone (24) e Italia (27).
La performance italiana mostra un Paese caratterizzato da un basso livello di crescita e sviluppo e una scarsa equità intergenerazionale e attenzione alla sostenibilità. “L'Italia sta invecchiando, spostando il peso politico a favore delle fasce più anziane” afferma il rapporto, e prosegue “a questo fa eco la difficoltà di abbassare il debito pubblico, che rivendica le risorse future dell'Italia in cambio di guadagni momentanei, e un alto tasso di disoccupazione soprattutto tra la popolazione più giovane”. Allo stesso tempo, le disuguaglianze di reddito e la povertà sono più elevate rispetto alle altre economie avanzate. “Data la crescita economica lenta, le prospettive future dell'Italia sono quindi meno positive di quelle di altri Paesi comparabili”, conferma il Rapporto. L'Italia, tuttavia, sta ottenendo una buona performance sull'intensità delle emissioni e sulla salute, in quanto registra basse emissioni di carbonio e migliori condizioni di salute (73 anni in buona salute previsti) rispetto alla maggior parte delle economie mondiali.
Il rapporto illustra inoltre esempi di economie che hanno reso i loro processi di crescita più inclusivi e sostenibili, con risultati molto soddisfacenti: Repubblica ceca, Islanda, Nuova Zelanda, Nicaragua, Ruanda, Corea del Sud e Vietnam tra le prime. Uno sguardo più attento ai dati mostra che il Pil pro capite è correlato piuttosto debolmente alla performance degli indicatori Idi diversi dalla produttività del lavoro e dall'aspettativa di vita sana (e dai tassi di povertà nelle economie avanzate). Da ciò si può dedurre che una crescita del Pil relativamente forte non può essere di per sé invocata per generare progressi socioeconomici inclusivi e un miglioramento generalizzato degli standard di vita.
“L'iniquità socioeconomica è in gran parte una sfida endogena piuttosto che esogena per i responsabili politici”, conclude il Rapporto. “Un nuovo modello di crescita che ponga le persone e gli standard di vita al centro della politica economica nazionale e dell'integrazione economica internazionale è quindi necessario per trasformare la crescita inclusiva da aspirazione ad azione nella quarta rivoluzione industriale”.
di Flavio Natale