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Il mancato accesso ad acqua pulita e igiene minaccia ancora molte popolazioni
Who e Unicef hanno diffuso le prime stime globali su acqua e servizi igienico-sanitari in relazione ai target SDGs. La defecazione a cielo aperto è ancora diffusa in molte zone rurali. E molti bambini muoiono per infezioni.
Secondo la relazione del programma di monitoraggio comune stilato dalla World Health Organization e Unicef “Progress on Drinking Water, Sanitation and Hygiene: 2017 Update and Sustainable Development Goal Baselines”, un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile in casa e più del doppio non dispone di impianti igienici.
La relazione, oltre a fornire le prime stime globali dei servizi di acqua potabile ed igienico-sanitari per il raggiungimento dei target 6.1 e 6.2 fissati dagli SDGs, mette altresì in luce la necessità di porre rimedio alla defecazione a cielo aperto. Sebbene tra il 2000 e il 2015 la percentuale della popolazione mondiale che ricorre a questa pratica sia scesa dal 20% al 12%, c’è ancora molto da fare, in particolare nelle zone rurali, dove tale condotta si riduce ogni anno solo di 0,7 punti percentuali.
Accanto a questo fattore, il rapporto mette in evidenza come la salute di molte popolazioni sia altresì minacciata dalla mancanza di un servizio di acqua pulita. Infatti, nel mondo tre persone su dieci non dispongono nelle loro case di un accesso sicuro e immediato alle fonti di acqua potabile. Per sopperire a tale mancanza, molti utilizzano acqua proveniente dai fiumi e laghi, oltre che dai canali di irrigazione. Dei 159 milioni di persone che nel 2015 hanno utilizzato l’acqua di superficie per dissetarsi, 147 milioni risiedono nelle zone rurali e più della metà vivono in Africa Sub-Sahariana. In Papua Nuova Guinea la percentuale tocca il 42%. La popolazione mondiale che attua tale comportamento si è tuttavia ridotta dal 4% nel 2000 al 2% nel 2015.
Relativamente ai dati sui servizi igienici, due persone su cinque hanno avuto accesso a servizi igienico-sanitari gestiti in modo sicuro, con importanti differenze regionali (fig. 1 e 2). Più precisamente, solo il 23% della popolazione residente in America Latina e nei Caraibi ha avuto accesso ad un servizio sanitario gestito in modo sicuro. La percentuale aumenta al 34% per le regioni dell’Asia occidentale e del Nord Africa e al 55% per l’Asia orientale e il Sud-est Asiatico. In Australia e Nuova Zelanda, invece, la percentuale di coloro i quali hanno accesso ad un servizio sanitario gestito in modo sicuro tocca il 68%, sino ad arrivare al 78% in America settentrionale e in Europa.
Anche se, a partire dall’inizio del 21° secolo, miliardi di persone sono riuscite ad avere accesso alle risorse di acqua e ai servizi sanitari, tale accesso non ha sempre garantito loro una sicurezza sanitaria. Infatti, ancora oggi molte abitazioni, strutture sanitarie e scuole, non hanno né sapone né acqua per lavarsi le mani. Da questo scenario consegue un grande rischio, in particolare per la salute dei più piccoli: ogni anno migliaia di bambini con età inferiore ai cinque anni muoiono per disturbi come la diarrea. L’accesso ad acqua e sapone per lavarsi le mani varia immensamente all’interno delle 70 Nazioni considerate, dal 15% nell’Africa Sub-Sahariana al 76% in Asia occidentale e Nord Africa. Nel 2015, nella maggior parte dei Paesi africani meno della metà della popolazione ha avuto accesso ai servizi igienici di base per lavarsi le mani con acqua e sapone (fig. 3).
Il programma di monitoraggio comune Who e Unicef si pone dunque come uno tra gli strumenti più efficaci per raggiungere entro il 2030 non solo i target 6.1 e 6.2 degli SDGs, volti a garantire acqua e servizi igienico sanitari per tutti, ma contribuisce altresì al monitoraggio dei target indicati tanto nel Goal 1 volto a “sradicare la povertà estrema, ovunque e in tutte le sue forme” quanto nel Goal 4 per “garantire un’istruzione di qualità equa ed inclusiva”.
di Elena Rusci