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La Bce pubblica il suo secondo stress test climatico ma non sono buone notizie
Francoforte elabora tre diversi percorsi per il sistema finanziario dell’area euro, da qui al 2030. Una “transizione ritardata” potrebbe provocare l’innalzamento delle temperature, minando la stabilità economica dell’Unione. 21/9/23
“La transizione verso un’economia a zero emissioni è necessaria per limitare l’impatto negativo del cambiamento climatico ed è diventata una delle priorità più urgenti a livello mondiale. Se continuiamo così, i rischi e i costi per l'economia e il sistema finanziario aumenteranno”. Questo il commento lapidario di Luis de Guindos, vicepresidente della Banca centrale europea, il 6 settembre, in occasione della pubblicazione del secondo stress test climatico prodotto dall’istituto di Francoforte.
Lo studio, condotto su 2,9 milioni società non finanziarie e 600 banche dell'area dell'euro, valuta l’impatto di tre potenziali percorsi di transizione, diversi per tempi e livelli di ambizione, e quantifica le esigenze di investimento, i costi economici e i rischi per imprese, famiglie e istituzioni. Basandosi sul primo stress test climatico condotto dalla Bce nel 2021, il Rapporto introduce tre innovazioni chiave.
In primo luogo, la progettazione di scenari di transizione a breve termine, che combinano le proiezioni sviluppate dal Network for Greening the Financial System (Ngfs) con proiezioni macroeconomiche che tengano conto degli ultimi sviluppi legati, in particolare, alla crisi energetica. In secondo luogo, l’introduzione di dinamiche settoriali e considerazioni specifiche sulla situazione energetica di ogni Paese. Infine, un’analisi completa dell’impatto del rischio di transizione sul settore privato dell’area euro e sul sistema finanziario, utilizzando un set di dati che combina informazioni climatiche, energetiche ed economiche per milioni di imprese.
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Un mix energetico ancora insoddisfacente
A proposito di energia, il Rapporto sottolinea che, nonostante la quota di fonti rinnovabili nel mix energetico Ue sia gradualmente aumentata negli ultimi 30 anni, la dipendenza da risorse ad alta intensità di carbonio resta elevata. Nel 2021, i Paesi membri dell’Unione sono stati alimentati principalmente da prodotti petroliferi e gas naturale, che hanno rappresentato il 65% del consumo energetico totale.
Il consumo aggregato di gas e petrolio è però rimasto relativamente stabile negli ultimi 30 anni, mentre la quota delle rinnovabili è triplicata e ha raggiunto quasi il 20% del consumo totale di energia, sostituendo principalmente il carbone. Il relativo calo del consumo diretto di fonti energetiche ad alta intensità di carbonio è stato compensato da un relativo aumento del consumo di elettricità (+17% negli ultimi 30 anni), derivante da una progressiva elettrificazione dei processi produttivi e degli edifici. Tra i cinque Stati più grandi dell’Ue, come si vede nella figura seguente, i Paesi Bassi e l’Italia fanno però ancora affidamento sui combustibili fossili per oltre l’80% del loro consumo energetico totale, mentre la Francia fa ampio uso dell’energia nucleare.
I tre scenari della transizione
Sulla base di questi dati, lo stress test delinea dunque tre proiezioni in un orizzonte di breve-medio termine, dal 2023 al 2030:
- Nel primo scenario, quello di una “transizione accelerata”, si innescherebbe da subito, secondo la Bce, una transizione verde, consentendo così alle economie dell’area euro di raggiungere una riduzione delle emissioni entro il 2030 compatibile con l’obiettivo climatico di +1,5 gradi entro la fine del secolo.
- Nel secondo scenario, la “transizione tardiva”, i recenti sviluppi macroeconomici avversi porterebbero a una transizione verde a partire dal 2025. Sarebbe sufficientemente intensa da ottenere riduzioni delle emissioni entro il 2030 simili a quelle registrate nel primo scenario, grazie a un’azione forte e decisiva, anche se con costi più elevati.
- Nel terzo scenario, quello della “transizione ritardata”, il cambiamento inizierebbe con un ritardo di tre anni e sarebbe, nel breve periodo, più agevole e quindi meno costoso. Tuttavia, le emissioni si troverebbero su un percorso compatibile solo con un aumento della temperatura di circa +2,5 gradi entro la fine del secolo, generando conseguenze ingenti a livello finanziario.
Lo studio evidenzia dunque come da qui al 2030 i costi maggiori si raggiungerebbero nel secondo scenario, mentre nel medio-lungo termine si verificherebbero nel caso di una “transizione ritardata”, dato l’effetto che l’aumento delle temperature avrebbe sulla stabilità finanziaria, e non solo.
Per la Bce, quindi, agire immediatamente e con decisione (lo scenario di transizione accelerata) fornirebbe vantaggi significativi per le imprese, le famiglie e il sistema finanziario, non solo mantenendo l’economia sul percorso ottimale di zero emissioni nette (e quindi limitando l’impatto del cambiamento climatico), ma anche riducendo rapidamente le spese energetiche e diminuendo il rischio finanziario. Se il cambiamento venisse ulteriormente ritardato, l’unico modo per ridurre le emissioni compatibilmente con gli obiettivi net zero sarebbe quello di agire in modo più intenso in una fase successiva, con una “transizione brusca e forte” che condurrebbe verso un’economia più debole, con cospicue perdite annuali per ogni Paese.
“I risultati mostrano che le imprese e le famiglie traggono chiaramente vantaggio da una transizione più rapida”, ha concluso de Guindos. “Questa comporterebbe inizialmente maggiori investimenti e costi energetici più elevati ma, a medio termine, i rischi finanziari diminuirebbero notevolmente".
di Flavio Natale