Notizie
Solo il 7,2% dell’economia mondiale è circolare, aumenta il consumo di risorse
Circle economy mostra come soddisfare i bisogni dell’umanità con il 70% dei materiali che vengono estratti, il Global footprint network pubblica nuovi strumenti per valutare e ridurre il nostro impatto sul Pianeta. 25/1/23
Mentre continua ad aumentare la nostra pressione esercitata sui sistemi naturali, in termini di richieste di nuove materie prime, un dato sull’economia deve far riflettere: solo il 7,2% dell’economia mondiale può definirsi circolare. La stima arriva dal rapporto annuale di Circle economy, pubblicato nei giorni scorsi in collaborazione con Deloitte, dal titolo Global circularity gap report. Lo studio, lanciato in occasione del World economic forum 2023 che si è tenuto la scorsa settimana a Davos (Svizzera), sostiene che la creazione di una economia globale totalmente circolare consentirebbe di soddisfare i bisogni dell’umanità – quelli attuali – con circa un terzo delle materie in meno: in pratica basterebbe utilizzare il 70% dei materiali che ora estraiamo, modelliamo e utilizziamo per portare avanti gli attuali stili di vita. Un dato, secondo i ricercatori, in grado di riconciliare consumo e limiti planetari.
Come allontanarsi dall’economia lineare. Il Rapporto rileva che andando oltre la logica del "prendere-trasformare-sprecare" si potrebbe ridurre la pressione che l’attività umana sta esercitando sui nove confini planetari, soglie limite individuate dalla scienza da non sforare per vivere in un S.o.s: uno Spazio operativo sicuro. Purtroppo, secondo le ultime analisi, almeno cinque di questi nove limiti soni stati già stati superati - si tratta della crisi climatica, della perdita di biodiversità, del cambio d’uso del suolo, dell’inquinamento chimico e dell’alterazione dei cicli dell’azoto e del fosforo – e il costante aumento dell'estrazione di nuovo materiale ha ridotto la circolarità globale: si è passati dal 9,1% nel 2018, all'8,6% nel 2020, fino al 7,2% nel 2023. Ciò significa che oltre il 90% dei materiali viene sprecato, buttato via o non può essere riutilizzato per diversi anni dato che risulta “bloccato” in costruzioni di lunga durata come edifici e macchinari.
LEGGI ANCHE - L’ITALIA RICICLA IL 72% DEI RIFIUTI E AVANZA SULLA RACCOLTA DIFFERENZIATA
Per riconciliare il rapporto tra umanità e risorse ambientali, il Gap report identifica 16 soluzioni da applicare in quattro macro-categorie, e tre principi guida che le aziende e la politica devono seguire.
Le soluzioni, da utilizzare in ogni comparto della nostra società, vengono suddivise in questo modo:
- Sistemi alimentari: 1) mettere al primo posto cibi più sani; 2) scegliere locale, stagionale e biologico; 3) puntare su un’agricoltura rigenerativa; 4) eliminare gli sprechi alimentari;
- Ambiente: 5) essere il più efficiente possibile dal punto di vista energetico; 6) sfruttare ciò che è già stato creato; 7) dare priorità a materiali e ad approcci circolari; 8) riutilizzare i rifiuti;
- Materiali di consumo: 9) efficientare l’industria tradizionale; 10) prolungare il ciclo di vita di macchinari, attrezzature e merci; 11) comprare solo ciò che serve; 12) evitare il fast fashion scegliendo tessuti che siano sostenibili;
- Mobilità e trasporti: 13) abbracciare nuovi stili di vita “senza automobile”; 14) investire nella qualità dei trasporti pubblici; 15) ripensare i nostri viaggi scegliendo il meno possibile il trasporto aereo; e 16) elettrificare il parco-veicoli.
I tre principi guida che devono invece orientare le azioni da mettere in campo creando la tanto agognata “visione sistemica” rispondono alle famose “tre R”: ridurre, rigenerare e redistribuire. Infine il Rapporto fornisce una stima futura sul consumo di risorse: se dovessimo continuare con il business as usual rischiamo di passare dalle 28,6 Gigatonnellate (Gt, mila miliardi) di materiale estratto nel 1972 e dalle 101,5 Gt del 2021, alle 170-184 Gt del 2050.
Contrastare il giorno dell’Overshoot. Una efficace misura dell’impatto umano sul pianeta è fornita dall’Ong del Global footprint network, che quest’anno festeggerà il 20esimo anniversario dalla sua fondazione. L’organizzazione ogni anno si occupa infatti di stimare l’impronta ecologica dell’umanità: si tratta di un indicatore che in base ai consumi, agli sprechi, alle emissioni gas serra in atmosfera, alla degradazione del terreno e a tutti gli altri fattori che incidono sullo stress degli ecosistemi, valuta il consumo di risorse rispetto al tasso di rigenerazione del capitale naturale. Tradotto: ci informa sul reale stato di salute del pianeta.
LEGGI ANCHE - VERSO UN TRATTATO INTERNAZIONALE VINCOLANTE SULL’INQUINAMENTO DA PLASTICA
Il concetto dell’impronta ecologica introduce quello dell’Overshoot day: il giorno in cui l’umanità termina le risorse messe a disposizione dal Pianeta nel corso dell’anno. Va ricordato che prima del 1970 non c’era alcun giorno dell’Overshoot. La popolazione mondiale riusciva infatti ad alimentarsi – non solo in termini alimentari ma anche energetici, di utilizzo di materie prime e di assorbimento dei rifiuti prodotti – grazie all’uso delle risorse generate dai nostri ecosistemi. In pratica, ciò che il capitale naturale produceva nel corso dell’anno, bastava per sostenere i nostri stili di vita. Ma dal 29 dicembre del 1970 qualcosa si rompe nel rapporto tra uomo e natura. È in pratica la data che segna l’inizio della fine: dal 1970 l’uomo consuma più di quanto produce il capitale naturale. Si tratta di una corsa senza sosta: negli anni ’90 l’Overshoot day cadeva sempre in dicembre, negli anni 2000 si presentava agli inizi di novembre, nel 2016 l’8 agosto, per poi arrivare al 28 luglio del 2022.
Secondo tale stima, per soddisfare l’intera e attuale domanda mondiale di risorse servirebbero dunque 1,75 Terre. Un dato medio, che si basa sia sugli stili di vita delle nazioni sviluppate che di quelle ancora in attesa di essere investite dalla crescita economica, che tradotto vuol dire: c’è chi consuma di più e chi meno. Mentre le nazioni povere risultano avere ancora un consumo di risorse “sostenibile”, ad avere un impatto maggiore sono soprattutto quelle sviluppate che sforano di gran lunga il budget a disposizione. Per questo motivo, cioè per mitigare il consumo di risorse soprattutto da parte dei Paesi ricchi, nel corso del 2022 il Global footprint network ha lanciato una serie di strumenti.
Il primo è il Footprint calculator online per le università: progetto che ha riunito l’Ong e quattro università europee con l’obiettivo di migliorare l'insegnamento e le pratiche di sostenibilità nell'istruzione superiore. Fino a ora 108 università di 22 Paesi hanno utilizzato questo tool per iniziare a progettare la propria strategia e le proprie politiche di sostenibilità.
C’è poi la piattaforma interattiva Food footprint: lanciata in occasione dell'evento “Terra madre” che si è tenuto a Torino, lo strumento offre la possibilità ai visitatori di apprendere come le loro scelte alimentari incidano sul processo di rigenerazione della Terra.
Inoltre, il Global footprint network sta lavorando per valutare gli impatti delle aziende. Sul sito di riferimento, per esempio, si legge: “Abbiamo calcolato che la società tedesca di gestione dei rifiuti ‘Interzero’ riduce l'Impronta ecologica dell'umanità di 28 metri quadrati per ogni dollaro di valore aggiunto all'economia. Se invece guardiamo all’intera economia globale, questa in media aumenta l’Impronta ecologica di 2,6 metri quadrati per ogni dollaro in più generato ogni anno”.
Insomma, quello del Global footprint network è un impegno a 360 gradi che va nella giusta direzione, o meglio: nella giusta “riduzione”.
di Ivan Manzo