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Wir 2026: la disuguaglianza globale passa da finanza, clima e grandi patrimoni
Il World Inequality Report fotografa un mondo segnato da disparità estreme e intrecciate: economiche, climatiche e di genere. Tassazione progressiva e redistribuzione funzionano, ma devono includere i ricchi. 17/12/25
Il 10 dicembre è stato pubblicato il "World inequality report 2026" (Wir). Frutto del lavoro condiviso da parte di un team di economisti ed economiste, tra cui troviamo Thomas Piketty e Joseph Stiglits, lo studio descrive le nuove dimensioni della disuguaglianza che caratterizzano il ventunesimo secolo, tra cui clima, ricchezza, disparità di genere e asimmetrie del sistema finanziario globale.
Sul piano internazionale, il Wir 2026 denuncia il ruolo del sistema finanziario. Per come è concepito oggi, le economie ricche beneficiano di un "privilegio esorbitante": ogni anno, circa l’1% del Pil mondiale viene trasferito dalle economie più povere a quelle più avanzate. Si tratta di flussi legati soprattutto a interessi sul debito, dividendi e profitti sugli investimenti esteri. I Paesi ricchi, grazie alla loro posizione dominante nei mercati finanziari internazionali, ottengono così rendimenti più elevati sui capitali investiti all’estero e, allo stesso tempo, pagano interessi più bassi sui debiti che contraggono. I Paesi poveri, al contrario, spesso devono offrire rendimenti più alti per attrarre capitali e pagano interessi più onerosi. Il risultato è un trasferimento netto di risorse che supera di circa tre volte il volume degli aiuti pubblici allo sviluppo.
In pratica, mentre una parte limitata di fondi viene formalmente destinata alla cooperazione internazionale, una quantità molto maggiore di ricchezza viene drenata dai Paesi a basso reddito attraverso il funzionamento del sistema finanziario globale. Questo squilibrio contribuisce a perpetuare le disuguaglianze economiche tra Nord e Sud del mondo, riducendo lo spazio fiscale e le possibilità di investimento nei Paesi più vulnerabili: “invertire questa dinamica è fondamentale per qualsiasi strategia credibile per l'equità globale”.
Il Wir, inoltre, sottolinea che le disuguaglianze sono strettamente collegate alle scelte di natura politica. Sappiamo come combattere le differenze tra individui, abbiamo infatti gli strumenti per farlo, ed è ormai chiaro che “dove la redistribuzione è forte, la tassazione è equa e gli investimenti sociali sono prioritari, la disuguaglianza si riduce”. Tuttavia, manca la volontà politica per cambiare una situazione che, in base alle evidenze illustrate dallo studio, continua a peggiorare.
Un mondo ricco di disuguaglianze
Partiamo da un punto: la disuguaglianza rimane a livelli elevati, molto elevati. Oggi il 10% che guadagna di più al mondo – cioè un individuo che ha ricavi di circa 65.500 euro l’anno - guadagna più del restante 90%, mentre la metà più povera della popolazione detiene meno del 10% del reddito globale (“Income” in Figura 1).
La ricchezza è ancor più concentrata: il 10% più ricco – con un patrimonio netto di 265.600 euro - possiede tre quarti della ricchezza globale, mentre la metà più povera ne detiene solo il 2% (“Wealth” in Figura 1). Il quadro diventa ancora più estremo se si va oltre. Lo 0,001% più ricco, meno di 60mila multimilionari, controlla oggi una ricchezza tre volte superiore a quella della metà dell'umanità messa insieme. Dagli anni '90, la ricchezza dei miliardari e dei “centimilionari” è cresciuta di circa l'8% annuo, quasi il doppio del tasso di crescita registrato dalla metà più povera della popolazione.

Disuguaglianze climatiche
Se per anni il dibattito pubblico ha puntato il dito sui comportamenti individuali, lo studio dimostra che la struttura della ricchezza gioca un ruolo determinante nel far aumentare le emissioni climalteranti globali. Secondo l’analisi, il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del 77% delle emissioni legate alla proprietà del capitale privato: non si tratta solo di consumi più elevati, ma del controllo su asset finanziari, industrie e investimenti che generano emissioni su vasta scala. Restringendo l’analisi si nota come l'1% più ricco sia responsabile del 41% delle emissioni (Figura 4). Numeri che suggeriscono una verità scomoda ma difficilmente contestabile: non si può affrontare la crisi climatica senza affrontare la concentrazione del potere economico che la alimenta.

Disuguaglianze di genere
Non è solo una questione di reddito, ricchezza o emissioni. Tra le divisioni più persistenti e diffuse resta il divario tra uomini e donne. A livello globale, le donne assorbono poco più di un quarto del reddito totale da lavoro (quasi come nel 1990): in Medio Oriente e Nord Africa, la quota delle donne è solo del 16%, nell'Asia meridionale e sudorientale è del 20%, nell'Africa subsahariana del 28%, e nell'Asia orientale del 34%. In Europa, Nord America e Oceania, così come in Russia e Asia centrale, il Rapporto mostra risultati migliori, anche qui, però, le donne continuano a detenere appena il 40% del reddito da lavoro.
Inoltre, lavorano di più e a guadagnano meno. Escludendo il lavoro non retribuito, le donne guadagnano solo il 61% del reddito orario degli uomini; includendo il lavoro non retribuito, questa cifra scende ad appena il 32%. La disuguaglianza di genere è dunque anche un'inefficienza di tipo strutturale e “le economie che sottovalutano metà del lavoro della loro popolazione minano la loro stessa capacità di crescita e resilienza”.
Miliardari e grandi patrimoni sfuggono alla tassazione progressiva
L’analisi comparata della disuguaglianza nel tempo e tra Paesi mostra che le politiche pubbliche possono ridurre in modo significativo i divari di reddito. In particolare, la tassazione progressiva e i trasferimenti redistributivi si sono dimostrati strumenti efficaci in tutte le regioni, soprattutto quando ben progettati e applicati con continuità. In Europa, Nord America e Oceania questi sistemi hanno ridotto la disuguaglianza di oltre il 30%, mentre in America Latina le riforme avviate dagli anni ‘90 hanno prodotto miglioramenti rilevanti. Nel complesso, i dati confermano che le politiche redistributive funzionano, pur con risultati diversi a seconda dei contesti.
La tassazione progressiva ha però un grande problema: i ricchi (Figura 12). La misura, presente per gran parte della popolazione, fallisce infatti al vertice della distribuzione del reddito. I dati mostrano che le aliquote effettive crescono fino ai redditi medio-alti, per poi ridursi nettamente per miliardari e grandi patrimoni, che finiscono per pagare proporzionalmente meno di tante famiglie con redditi molto inferiori. Questo andamento regressivo sottrae risorse agli Stati, limitando gli investimenti in istruzione, sanità e contrasto alla crisi climatica, e indebolisce la fiducia dei cittadini e delle cittadine nel sistema fiscale. Una tassazione realmente progressiva resta quindi essenziale - ricorda infine il Wir -, sia per finanziare i beni pubblici e ridurre le disuguaglianze, sia per rafforzare equità e coesione sociale.

Copertina: Unsplash
