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Adolescenti davanti allo schermo: cosa sappiamo e cosa resta da capire
I giovani chiedono di essere protetti, non esclusi dal mondo digitale. Per indagare il legame con la salute mentale servono più dati e di qualità. Ocse: occorre un impegno condiviso tra aziende tecnologiche, governi, scuole e famiglie. 5/6/25
Il dibattito sull’impatto dei dispositivi digitali sul benessere giovanile è acceso da tempo, e il recente caso di Torino dove un adolescente è stato ricoverato con sintomi compatibili con una crisi d'astinenza da smartphone, dopo che gli era stato tolto dai genitori a causa dell’uso eccessivo, secondo quanto riportato dai media, mostra quanto sia urgente affrontare il tema in tutta la sua complessità.
In media il 98% dei 15enni nei Paesi Ocse possiede uno smartphone con accesso a Internet, rendendo l'esposizione digitale praticamente universale. I dati disponibili suggeriscono che trascorrere oltre due ore al giorno sui social media aumenta il rischio di depressione, ansia, solitudine, relazioni tese e calo del rendimento scolastico. Nei soggetti vulnerabili, l’uso eccessivo può sfociare in comportamenti di dipendenza.
Per comprendere pienamente la relazione tra l’uso del digitale e il benessere di bambini e adolescenti occorre migliorare la raccolta dei dati, che sono attualmente pochi e incompleti. Non spiegano chiaramente come la vita online e offline si influenzino a vicenda. È fondamentale indagare meglio i fattori personali, familiari e sociali che favoriscono un uso problematico dei media digitali. Questo è l’obiettivo del rapporto realizzato dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, dal titolo How's life for children in the digital age?, pubblicato il 15 maggio, che evidenzia le lacune da colmare per promuovere politiche più efficaci e basate su un approccio che coinvolge ogni parte responsabile del benessere online di bambini e adolescenti: fornitori di servizi digitali, governi, scuole e famiglie.
La vita iperconnessa degli adolescenti
Secondo i dati più recenti, nel 2022 circa la metà dei 15enni nella maggior parte dei Paesi Ocse trascorreva almeno 30 ore a settimana utilizzando dispositivi digitali, in alcuni casi oltre le 60 ore. Sei su dieci superavano il limite giornaliero di due ore davanti allo schermo raccomandato per il tempo libero. I dispositivi più utilizzati sono quelli per comunicare e condividere contenuti (88%), cercare informazioni utili (84%) e giocare ai videogiochi (83%).
I ragazzi sono più propensi a un uso eccessivo dei videogiochi, a partecipare a episodi di cyberbullismo (un fenomeno in crescita), ad attivare le notifiche notturne e a condividere informazioni che sanno essere false. Tra le ragazze, invece, è più marcato l’uso elevato dei social media e del telefono cellulare, l’esposizione al bullismo online e a contenuti dannosi. Gli adolescenti provenienti da un contesto socio-economico svantaggiato mostrano un minor utilizzo delle tecnologie digitali per apprendimento o ricerca di informazioni utili. Sono anche meno propensi a modificare le impostazioni della privacy e più inclini a lasciare attive le notifiche mentre dormono.
Le lacune della ricerca
Finora, gli studi sul benessere digitale giovanile si sono focalizzati principalmente sul tempo trascorso davanti allo schermo. Tuttavia, per comprendere meglio i rischi per la salute, è essenziale considerare altri fattori. Dobbiamo esaminare la qualità dell'interazione (se attiva o passiva), le motivazioni dietro l'uso dei media, l'orario di utilizzo, il tipo di piattaforma e i contenuti delle attività digitali. Inoltre, è cruciale monitorare come l'uso dei dispositivi influenzi nel tempo altre attività importanti, come la lettura, gli hobby e lo sport. Considerato che il primo contatto con i dispositivi è stimato all’età di due anni, è urgente raccogliere più dati sui bambini piccoli e documentare come i genitori interagiscono con loro durante l’uso. I dati disponibili suggeriscono che un’esposizione precoce può influenzare lo sviluppo motorio e cognitivo.
Per individuare i bambini più vulnerabili e quelli che necessitano di maggiori informazioni e di interventi specifici, è fondamentale avvalersi delle competenze di professionisti sanitari ed educatori. L’Ocse invita anche a condurre indagini per valutare il livello di consapevolezza dei minori sui rischi dello spazio digitale, come disinformazione, contenuti dannosi o commerciali, e verificare il supporto ricevuto da famiglia, scuola e online per affrontarli.
In linea con queste indicazioni, un recente sondaggio nel Regno Unito condotto su giovani tra i 16 e 21 anni ha rivelato che oltre la metà comprende il funzionamento di algoritmi e tracciamento dei dati, ma solo uno su quattro (26%) si sente davvero protetto online o sa come agire di fronte a contenuti inappropriati. E se da un da lato emerge la diffusione di comportamenti rischiosi, come mentire su età e identità, dall’altra un’ampia maggioranza (79%) chiede leggi che obblighino le aziende a integrare misure più robuste per privacy, verifica dell'età e controlli d'identità. Colpisce inoltre che quasi la metà (47%) ha dichiarato che preferirebbe vivere in un mondo senza internet e uno su due che un "coprifuoco" sui social media migliorerebbe la propria vita. Questi dati rivelano non solo una disillusione verso le tecnologie digitali, ma anche una chiara richiesta dei giovani per un ambiente online più sicuro e orientato al loro benessere.
Assieme ai rischi, occorre ampliare anche la ricerca sui benefici che il digitale può offrire. Oltre alle opportunità di apprendimento, alle attività creative e alla socialità, è utile sapere se, ad esempio, l’uso favorisce la partecipazione civica, l’accesso ai servizi o il rafforzamento dell’identità personale. Infine, è necessario migliorare sia la raccolta che la comunicazione dei dati. Servono metodi diversificati per comprendere pienamente come le attività digitali influiscono sul benessere nel corso del tempo. I risultati andrebbero comunicati in modo chiaro alle famiglie, ai professionisti e ai decisori, attraverso una scala di affidabilità delle prove che aiuti a distinguere i dati solidi da quelli ancora preliminari.
Una responsabilità collettiva
Per rafforzare l’efficacia delle politiche nazionali che mirano a creare uno spazio digitale sicuro per i minori, l'Ocse raccomanda un approccio coordinato. La responsabilità primaria ricade sui fornitori di servizi digitali, i quali devono rispettare la privacy, contrastare la diffusione di contenuti dannosi e offrire meccanismi di segnalazione semplici e chiari, evitando di scaricare l’onere della protezione dei minori esclusivamente sui giovani, sulle famiglie e sulle scuole.
I governi hanno il compito di definire norme e standard che impongano ai fornitori di progettare dispositivi e piattaforme con strumenti di protezione integrati e meccanismi di reclamo accessibili ai minori. Questa esigenza è particolarmente urgente, dato che solo il 53% dei 15enni nei Paesi Ocse dichiara di riuscire a gestire facilmente le impostazioni per proteggere dati e privacy.
Le proposte di divieto di accesso ai media sotto i 16 anni di età, pur discusse, risultano difficili da applicare, considerato che il digitale è ormai parte integrante della loro quotidianità e pone interrogativi sulla violazione dei diritti dei minori, i quali devono poter sviluppare le competenze digitali utili per il mercato del lavoro.
La formazione degli insegnanti nelle tecnologie digitali è essenziale per fornire alle bambine e ai bambini strumenti per affrontare i rischi online. Mentre la gestione dei cellulari in classe resta controversa: vietarli può ridurre le distrazioni, ma in alcuni casi può generare ansia, e l’impatto su l’apprendimento non è chiaro. Mancano evidenze solide per politiche univoche.
Le famiglie hanno bisogno di indicazione pratiche su come guidare i figli online. Per i più piccoli sono raccomandate regole rigide e supervisione; per gli adolescenti, più flessibilità e un dialogo aperto. Monitorare i contenuti è spesso più efficace delle restrizioni sul tempo. I parental control possono aiutare, ma c’è il rischio di indurre un falso senso di sicurezza, di un eccessivo controllo e di scoraggiare l’autonomia dei figli. Rispetto alle imposizioni dall’alto, può essere più accettato un piano media familiare condiviso, che coinvolga genitori e figli nelle regole e nelle abitudini quotidiane nell’uso dei media.
Infine, la partecipazione di bambine, bambini e adolescenti nei processi decisionali è fondamentale per costruire politiche più efficaci, includendo anche quelli provenienti da contesti svantaggiati. Oltre la metà dei Paesi europei, si legge nel Rapporto, raccoglie le loro opinioni attraverso consultazioni e sondaggi. Cosa desiderano? Informazioni veritiere, chiare e adatte alla loro età sul funzionamento dei servizi e sulla privacy dei dati, più autonomia e protezione dalla manipolazione commerciale e dai contenuti dannosi. In sostanza, chiedono di essere protetti, ma non esclusi dal mondo digitale.
di Antonella Zisa