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Costruire comunità educanti per un rapporto efficace istituzioni culturali-società
Crescita del capitale sociale nei territori e progetti per rinnovare la collaborazione tra organizzazioni culturali e scuole. Queste le tematiche dell’evento nazionale Cultura per lo sviluppo sostenibile. 6/10/20
“La cultura attraversa tutta l’Agenda 2030, anche se i target specifici sono relativamente limitati. Le istituzioni culturali hanno un ruolo speciale per aiutare un Paese a far evolvere la cultura verso lo sviluppo sostenibile, il cui principio cardine è la giustizia intergenerazionale. Questo principio non è presente nelle nostre costituzioni e ciò è frutto di una cultura basata su modelli economici che immaginavano la possibilità di una crescita illimitata”. Con queste parole il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini ha aperto, nella mattina del 2 ottobre al Macro di Roma, l’evento nazionale del gruppo trasversale Cultura per lo sviluppo sostenibile dell’Alleanza, dal titolo “Costruire comunità educanti”, in collaborazione con Roma Capitale.
“Gli elementi culturali contano nell’evoluzione di un sistema giuridico di un Paese e sono profondamente legati al modo con cui leggiamo la nostra realtà e nel modo in cui vogliamo costruire il nostro futuro”, ha proseguito Giovannini. “Gli artisti spesso ci aiutano a fare un salto di qualità nella percezione di ciò che abbiamo intorno, nel nostro modo di vivere e nell’immaginazione del mondo che verrà. Il focus di questo incontro è quello delle comunità educanti, scelto per legare i temi della cultura alla situazione drammatica in cui il nostro sistema educativo si trova a seguito dello scoppio della crisi a causa della pandemia”, ha concluso il portavoce dell’ASviS nel panel introduttivo dell’evento, organizzato all’interno della seconda giornata della conferenza internazionale “The 2020 Rome Charter”, iniziativa guidata da Roma Capitale e da United cities and local governments (Uclg) per promuovere la Carta della Cultura di Roma.
La realizzazione della Carta, come ha spiegato nel successivo intervento il vicesindaco di Roma Luca Bergamo, è frutto di un percorso di mesi di lavoro insieme ad altre 45 città e altrettante reti internazionali. Il documento di principi non parla dei diritti culturali in modo astratto, ma del diritto di ciascuno di prendere parte alla vita culturale della comunità. Il vicesindaco, riferendosi alla cultura come al “diciottesimo obiettivo mancante dell’Agenda 2030”, ha così concluso: “Non c’è sviluppo sostenibile se ciascun individuo non dispone degli strumenti per poter essere consapevole di essere parte di una comunità e per poter integrare le relazioni. Il percorso avviato con la Carta di Roma spinge le città del mondo ad assumersi la responsabilità e il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’esercizio libero dei diritti umani.
“L’evento è proseguito con una tavola rotonda, moderata dalla professoressa Paola Dubini, coordinatrice del gruppo di lavoro trasversale sulla Cultura dell’ASviS, che ha introdotto il panel sottolineando l’importanza sostanziale della collaborazione con il Comune di Roma e la condivisione di intenti nella realizzazione dell’obiettivo della Carta di mettere le culture al centro di un nuovo modello di sviluppo, aggiungendo: “L’intento dell’organizzazione di questo evento nazionale è stato quello di raccogliere le esperienze del territorio, mettendo in risalto l’importanza del rapporto tra organizzazioni culturali e mondo dell’educazione in un momento di crisi così difficile”.
Il primo intervento della tavola rotonda ha messo in luce il punto di vista delle biblioteche, grazie al contributo di Milena Tancredi dell’Associazione italiana biblioteche (Aib), che ha raccontato come in una circostanza di emergenza i bibliotecari hanno trovato il modo di collaborare con il territorio e continuare ad offrire i propri servizi: “La contingenza è stata un’opportunità per utilizzare le piattaforme social e digitali, per continuare a dare in modo costruttivo strumenti di apprendimento di formazione bibliotecaria agli insegnanti e per raggiungere nuovi e diversi utenti. Le biblioteche sono così entrate nelle case dei ragazzi e dei bambini, rafforzando la lettura condivisa con i genitori. Il periodo di emergenza sanitaria ha messo in luce la presenza di nuovi esclusi, quelli che non hanno la possibilità di connessione alla rete. Bisogna quindi lavorare sul digital divide, sul rafforzamento delle competenze e sulla creazione di nuove alleanze sui territori per la realizzazione di questi obiettivi”.
Ha successivamente preso la parola Alessandro Bollo, direttore della Fondazione Polo del ‘900 di Torino, che ha raccontato come il lavoro del Polo sia partito dal ripensamento, durante la pandemia, del rapporto tra istituzioni culturali e insegnanti: “Abbiamo scelto di aprire una stanza virtuale di ascolto con gli insegnanti, cercando di capire le loro reali esigenze da un punto di vista dei contenuti, dei linguaggi e dei nuovi strumenti di supporto. Abbiamo inoltre inviato loro un questionario per ragionare insieme, per capire le nuove sfide e i problemi nell’affrontare una fase così incerta e complessa, aumentando il loro grado di coinvolgimento nella co-progettazione della attività con il Polo. Le istituzioni culturali devono mettere al centro l’ascolto e la collaborazione, per riorientare la progettazione integrata e per ribaltare le prospettive, partendo dai bisogni della scuola e dalla nascita di nuove forme di didattica”.
Il tema dell’ascolto dei bisogni e del rimodellamento dell’offerta culturale ed educativa è stato ripreso da Michela Rossi, rappresentante della Fondazione Palazzo Te di Mantova, che ha così raccontato: “Nell’affrontare la fase di emergenza siamo partiti cercando di dare nuovi strumenti al gruppo di docenti con cui lavoriamo, creando un archivio digitale attraverso il quale affrontare il tema dei miti e altri temi nascosti di Palazzo Te. Una volta riaperto il museo, abbiamo cercato di aiutare le famiglie mantovane organizzando un summer camp per moltissimi bambini della durata di un mese, una grandissima novità che speriamo di portare avanti. Il nostro ulteriore intento è stato quello di chiamare a raccolta tutte le istituzioni culturali di Mantova per poter dialogare e capire come procedere insieme, non facendo più riferimento ai numeri del turismo, ma ripensando a come rendere l’esperienza culturale qualitativamente diversa nello sguardo, coinvolgendo i cittadini in un vero e proprio rapporto personale con le istituzioni culturali”.
L’idea di interpretare i luoghi culturali come nuovi spazi di accoglienza è stata ulteriormente ripresa da Manu Lalli, direttore artistico di Venti Lucenti, che ha svolto il suo intervento anche in rappresentanza del Teatro della Pergola di Firenze, diretto da Marco Giorgetti, dichiarando:
”La nostra preoccupazione principale è sempre stata quella di mettere insieme cultura e sostenibilità. L’obiettivo centrale della sostenibilità è per noi la divulgazione e l’inclusione nelle iniziative culturali. Spesso i progetti culturali spendono denaro e non riescono ad arrivare ad un numero di persone sufficientemente soddisfacente. Abbiamo per questo aperto le porte del teatro alle scuole e cercato di avvicinare il più possibile le persone agli spazi, rendendole partecipi in prima linea e facendole sentire a casa loro. L’obiettivo continua ad essere quello di aumentare il livello di fruizione delle nostre attività culturali, rendendole meno autoreferenziali e più coinvolgenti, tramite una proposta di offerta culturale che non sia frammentaria e settoriale.”
Anche l’esperienza del Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, raccontata dal direttore dell’area sviluppo del museo Giovanni Crupi, ha così posto in essere il tema della partecipazione culturale: “Abbiamo lavorato seguendo alcuni principi guida, in particolare: mettere i visitatori al centro, misurare la massimizzazione dell’impatto delle attività sulla collettività e diversificare le attività per raggiungere il maggior numero di fruitori in un quadro inclusivo e partecipativo. Dopo il lockdown i numeri dei visitatori sono diminuiti tantissimo: questo comporta un crollo in termini di impatto, ricavi, intensità di impegno dello staff e di clima all’interno del museo stesso. Siamo ad un nuovo inizio e dovremo riconcepire l’intero piano di sostenibilità delle attività. Abbiamo per questo cercato di individuare nuovamente i bisogni delle scuole, mettendo a disposizione degli istituti i nostri spazi per fruire delle risorse educative proposte dal museo.
La sostenibilità spinge i musei a ragionare mettendo insieme la dimensione culturale a quella sociale ed economica: quanto più i progetti rispondo a bisogni urgenti e primari per la società, più facile è garantirne la fattibilità economica ottenendo sostegno da finanziatori”.
É stato successivamente toccato il tema della partecipazione trasversale tra operatori profit e non profit, dando voce al ruolo degli editori all’interno della riflessione attraverso l’intervento di Patrizia Pacini, componente del gruppo tecnico Cultura di Confindustria e Presidente dell’Unione industriale di Pisa, che ha incentrato il suo intervento sulla formazione blended, che riguarda sia l’ambito scolastico che la formazione professionale su più livelli, e sulla sfida della creazione da parte degli editori dei contenuti in nuovi contenitori per una formazione adeguata: “L’utilizzo di nuove tecnologie nei processi di formazione non deve limitare la creatività, la capacità di approfondimento e il linguaggio. La lingua italiana è una delle più ricche al mondo e dispone di oltre 150mila parole. Da un recente studio di linguisti è emerso però che nelle scuole il 96% degli italiani usa meno di 5mila parole. Non dobbiamo cedere ad un impoverimento del lessico, strettamente connesso all’impoverimento culturale. La didattica blended deve per questo lasciare spazio all’individuo, incentivando la curiosità culturale del singolo. A noi editori quindi la responsabilità di tradurre nelle modalità e negli strumenti più idonei il senso nuovo e vecchio delle parole.”
Anche i teatri, come già osservato precedentemente, si stanno interrogando molto sul senso della responsabilità sociale. L’intervento di Claudio Longhi, direttore della Fondazione Emilia-Romagna Teatri, ha così messo in luce ulteriormente questo aspetto: “Una delle funzioni pubbliche del teatro è quella di essere generatore di comunità. Per questa ragione, la scuola è necessariamente un interlocutore attivo privilegiato. Il rapporto con il mondo della scuola si è rafforzato in seguito alla pandemia. Le nuove generazioni, colpite in numero minore sul piano sanitario, sono state colpite duramente sul piano esistenziale. Le zone di intervento sono state quella del digitale, del teatro partecipato con percorsi dedicati alle scuole e dell’apertura dei nostri spazi ad attività con docenti e con studenti, soprattutto sul tema della lettura ad alta voce e sull’utilizzo degli strumenti del teatro nelle pratiche didattico-pedagogiche. Vogliamo in questo senso aiutare a risolvere insieme alle scuole il problema degli spazi e rendere il più possibile il teatro una casa abitabile.”
La revisione e l’innovazione delle pratiche culturali consolidate che caratterizzano il cuore delle organizzazioni culturali ha coinvolto, in maniera differente, la Fondazione Palazzo Grassi di Venezia, il cui direttore operativo Mauro Baronchelli ha scelto di incentrare il suo intervento nel racconto del progetto “Altri sguardi”, esperimento di mediazione culturale promosso dalla Fondazione dedicato al coinvolgimento dei cittadini migranti dentro gli spazi espositivi. Baronchelli ha così spiegato: “Abbiamo cercato di chiamare queste persone a raccontare le nostre mostre e i nostri progetti espositivi con il loro sguardo, che è lontano dal punto di vista culturale rispetto al quale noi siamo abituati. Le esperienze di vita e culturali dei partecipanti sono molto diverse tra di loro. L’obiettivo è stato quello di portare queste persone a conoscere le nostre istituzioni, a capire cos’è un museo di arte contemporanea e far commentare loro le opere esposte, raccontando infine tutta la loro esperienza al pubblico. Il progetto, sebbene complesso e legato a numeri piccoli, ha innescato nel nostro staff interno dinamiche nuove, interessanti e propositive. Il risultato è stato quello di cominciare a ragionare su queste persone non necessariamente come nuovi pubblici, ma come soggetti da coinvolgere, interrogare e ascoltare”.
La realizzazione di una comunità educante conduce a un nuovo modo di pensare lo sviluppo territoriale e il coinvolgimento sociale. Il gruppo di lavoro Cultura ha ragionato nella scelta del titolo di questo incontro ispirandosi al progetto della rete educAzioni sul rilancio del patto educativo nel documento #EducAzioni: Cinque passi per contrastare la povertà educativa e promuovere i diritti delle bambine, dei bambini e degli e delle adolescenti. A raccontare la testimonianza dell’esperienza di questo network di reti e alleanze del civismo attivo, del terzo settore e del sindacato ci ha pensato la professoressa e sociologa Chiara Saraceno, honorary fellow del Collegio Carlo Alberto di Torino: “Durante il lockdown è emerso come le associazioni con esperienza di collaborazione con le scuole possano connettere bisogni diversi e fornire aiuto e collaborazione per arricchire il curriculum educativo e accrescere la fiducia dei ragazzi. La comunità educante diventa così una risorsa per le scuole con funzione educativa e culturale per i bambini e per i ragazzi. L’idea è quella che i diversi soggetti offrano le proprie competenze non solo in modo strumentale, ma per cooperare ad una attività educativa ripensata nelle sue forme didattiche, condividendone il processo di progettazione. Il primo passo è stato quello di creare una rete per lavorare insieme e per tutelare i bisogni dei bambini e ragazzi, che sono stati i soggetti più dimenticati in questo periodo, quelli da cui bisogna partire per cominciare a produrre e trasmettere cultura”.
L’evento si è concluso con il tema della mobilitazione delle risorse economiche e del coinvolgimento responsabile degli attori sul territorio, su cui è intervenuta Carolina Botti, direttrice della divisione rapporti pubblico–privati e progetti di finanziamento Ales S.p.A (Arte lavoro e servizi), che ha chiuso così la tavola rotonda: “Coinvolgimento e sostenibilità sono due termini che racchiudono una visione, una strategia da portare avanti attraverso queste iniziative. Bisogna soffermarsi su come trasformare un’azione centrale di governo in una pratica sul territorio, come per esempio l’Art Bonus. Si è cercato di trovare una modalità per avvicinare i cittadini e le aziende al patrimonio culturale, affiancando il sostegno e la tutela pubblica nello sviluppo di nuove attività culturali a fondi privati. La prospettiva è quella di rendere stabile il beneficio economico per strutturare meccanismi duraturi nel tempo. L’aspetto dell’attuazione, che è quello più trascurato, necessita però di un collegamento solido tra il mondo pubblico e quello privato. Per fare ciò servono competenze mirate e un idoneo processo di formazione, insieme alla creazione di nuove sinergie e il coinvolgimento dei giusti attori”.
di Cecilia Menichella