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Good for the heart, good for the Earth: la dieta che fa bene alla salute e al clima
Uno studio promosso, tra l’altro, da Fondazione Cmcc ha individuato una dieta equilibrata, capace di ridurre sensibilmente le emissioni di CO2 legate agli attuali consumi europei. 16/2/23
Negli ultimi cinquant’anni i modelli dietetici sono cambiati in maniera radicale, con una crescita del consumo di alimenti di origine animale ricchi di calorie, grassi e zuccheri. Alimenti che minacciano la salute e il benessere delle popolazioni e dell'ambiente. Lo studio “Good for the heart, good for the Earth” pubblicato sulla rivista Nutrition, metabolism and cardiovascular disease e frutto della collaborazione tra diversi istituti italiani, tra cui la Fondazione Cmcc e l’Unità di ricerca su Nutrizione, diabete e metabolismo dell’Università di Napoli “Federico II”, propone l’adozione di “un modello alimentare pratico e alla portata di tutta la popolazione adulta sana” che porterebbe benefici importanti in termini di salute e impatto sull’ambiente.
I ricercatori hanno raggruppato gli alimenti più consumati al mondo, in base alle loro caratteristiche e proprietà nutrizionali. Poi li hanno collegati, grazie all’utilizzo di un database specifico, al rischio di malattie cardiovascolari. Tra gli alimenti con la massima riduzione del rischio ci sono frutta fresca, cereali integrali e cereali raffinati a basso indice glicemico (come orzo, tortilla di mais e yogurt). Anche altri gruppi di alimenti sono collegati a un ridotto rischio di malattie cardiovascolari, ma l'associazione più forte si osserva per un consumo meno frequente. Tra questi: pesce, legumi, noci, oli vegetali non tropicali e cioccolato. Tra gli alimenti che non impattano sul rischio di malattie cardiovascolari, se consumati in quantità moderate, troviamo: carne bianca, formaggio e uova.
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Tra gli alimenti associati ad un aumento del rischio di malattie cardiovascolari ce ne sono alcuni di base, come i cereali raffinati ad alto indice glicemico (ad esempio pane bianco e riso bianco) e le patate. Altri gruppi di alimenti associati ad un aumentato del rischio sono i grassi animali, gli oli vegetali tropicali (ad esempio burro, panna e olio di palma), la carne rossa (ad esempio manzo, maiale e agnello) e le carni lavorate (ad esempio il prosciutto).
La dieta europea. Fatta eccezione per il pesce e lo yogurt, il cui consumo attuale è inferiore a quello auspicabile, le popolazioni europee utilizzano quantità maggiori di tutti gli alimenti di origine animale rispetto alle dosi consigliabili, soprattutto carni rosse e lavorate, latte e formaggi. Al contrario, le quantità di quasi tutti gli alimenti a base vegetale (cioè cereali integrali, frutta, verdura, noci e legumi) sono inferiori a quelle consigliate. Nell'attuale modello di consumo alimentare, la combinazione di carne rossa, latte e formaggio rappresenta circa il 70% dell’impronta di carbonio settimanale. In particolare, la carne rossa, con un apporto settimanale di circa 800g pro capite, rappresenta la stragrande maggioranza dell’impronta. Riducendo i consumi di carne rossa, latte e cereali raffinati ad alto indice glicemico, l’impronta di carbonio verrebbe drasticamente ridotta.
Complessivamente, rileva lo studio, la transizione verso un modello alimentare basato su una dieta settimanale bilanciata, che consideri tutti gli alimenti, nelle giuste frequenze e quantità utili alla prevenzione delle malattie cardiovascolari, ridurrebbe del 48,6% l’impronta di carbonio dell'attuale dieta degli europei.
Gli impatti sulla salute... Diete di scarsa qualità e malnutrizione, prosegue lo studio, sono il più grande fattore di rischio per le malattie non trasmissibili e causano 41 milioni di morti ogni anno a livello globale (il 71% di tutti i decessi). In Europa, le malattie cardiovascolari sono responsabili di circa il 45% di tutti i decessi (pari a circa 4 milioni di decessi all'anno).
...e quelli sull’ambiente. Il 37% delle emissioni totali di gas serra di origine antropica sono legate ai sistemi alimentari, tra cui principalmente metano (proveniente da ruminanti, gestione del letame e produzione di riso), protossido di azoto (dovuto a processi naturali in agricoltura, gestione del letame e dall’uso di fertilizzanti sintetici) e anidride carbonica (i trasporti e la lavorazione degli alimenti). Stime recenti dimostrano che le emissioni globali di gas serra associate alla produzione alimentare di origine animale sono circa il doppio rispetto a quelle associate alla produzione alimentare di origine vegetale. A livello di singoli prodotti alimentari, la differenza nell'impronta di carbonio, ovvero le emissioni di gas serra per kg di cibo, tra alimenti di origine vegetale e animale può raggiungere i due ordini di grandezza, con la carne bovina che presenta i valori più elevati.
Confini planetari. Secondo le Nazioni unite, la produzione alimentare dovrà aumentare del 70% entro il 2050 rispetto al 2009 per soddisfare la domanda di una popolazione in crescita e sempre più urbanizzata. Continuando con uno scenario di business as usual, le emissioni di gas serra legate al cibo rischiano di aumentare dell'87% entro il 2050, così come la domanda di risorse, come terra e acqua, superando i confini planetari e mettendo a rischio i processi chiave dell'ecosistema. La necessità di passare a diete più a base vegetale e alla riduzione degli sprechi alimentari è il fulcro della strategia Farm to Fork dell'Unione europea.
di Tommaso Tautonico