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WeWorld: tre azioni per rilanciare l’educazione in Italia dopo la pandemia
Il sistema scolastico è stato duramente provato dai prolungati periodi di didattica a distanza, rileva un rapporto dell’organizzazione. Rischio aumento del 25% di bambine e bambini sotto il livello minimo di competenze. 2/5/22
Edifici inadeguati in termini di sicurezza e accessibilità, scarsa attenzione alla fascia d’età 0-6 anni, difficoltà nella progettazione tra scuola ed extra-scuola e mancanza di incentivi all’innovazione. La scuola italiana presenta problemi strutturali e sistemici, aggravati dalla pandemia e dai periodi prolungati di didattica a distanza. È quanto rileva WeWorld nel rapporto “Facciamo scuola – L’educazione in Italia ai tempi del Covid-19” pubblicato ad aprile, in cui vengono indagati tre aspetti legati della didattica: povertà educativa, digitalizzazione e benessere degli studenti.
Le dimensioni della povertà educativa. La povertà educativa, evidenzia lo studio, riguarda diverse dimensioni, legate alle opportunità culturali e scolastiche, alle relazionali e alle attività formative. Esiste un legame diretto tra povertà economica e povertà educativa. Molto spesso, bambini e bambine provenienti da famiglie povere sono anche quelli i cui genitori hanno livelli di istruzione più bassi. Condizione che si traduce in un minore supporto allo studio e minore valore attribuito all’educazione. La pandemia ha riportato la povertà economica ai livelli più alti dal 2005. Nel 2020 il 7,7% delle famiglie italiane (circa due milioni) ha dovuto affrontare una condizione di povertà assoluta. Povertà che si traduce nella difficoltà ad acquistare libri, materiale scolastico, vivere in abitazioni sovraffollate e prive di spazi da dedicare allo studio, non possedere un device per la didattica a distanza.
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Gli indicatori della povertà educativa. La povertà educativa viene misurata attraverso l’analisi di alcuni indicatori, in particolare il livello di competenze scolastiche e il tasso di abbandono precoce. Nel 2019, il tasso di abbandono dell’Italia era uno dei peggiori a livello europeo, con il 13,5%. Se nel 2020 il dato è sostanzialmente stabile a livello nazionale (13,1%), a livello territoriale si sono registrati peggioramenti, soprattutto nelle regioni del Sud. Un elemento di preoccupazione arriva anche dai dati più aggiornati relativi ai Neet: nell’anno della pandemia la percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che non lavorano né studiano ha raggiunto il 20,7% (erano il 18% nel 2019).
Il 64% di coloro che non hanno completato gli studi non trova un lavoro e, nel 2020, solo il 27,6% dei giovani possiede una laurea o un titolo di istruzione terziaria. Un dato stabile negli ultimi tre anni, ma tra i peggiori in Europa.
La povertà educativa dipende, oltre che dalle condizioni socio-economiche e culturali delle famiglie, anche dal contesto e dalle opportunità presenti sul territorio. Servizi educativi per la prima infanzia, tempo prolungato a scuola, dopo-scuola, mensa scolastica gratuita, disponibilità e velocità della connessione internet, offerta sportiva e culturale, sono tutti fattori che incidono sulle possibilità di bambini e bambine e adolescenti di non cadere in povertà educativa. Ma se la famiglia non possiede le risorse necessarie il rischio è che i bambini provenienti da contesti di disagio accumulino più carenze e lacune dei coetanei in condizioni socio-economiche migliori, rischiando di rimanere esclusi da una serie di esperienze fondamentali per la loro crescita personale.
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Digital divide. In ambito digitalizzazione, continua il report, l’Italia paga la mancanza di una infrastruttura adeguata, in particolare di collegamento a Internet veloce e di adeguate competenze digitali. Secondo il Digital economy and society index (Desi) 2020, che misura il livello di digitalizzazione dell’economia e della società dei Paesi europei, l’Italia si trova al quart’ultimo posto nella classifica. Analizzando la composizione dell’indice, la dimensione del capitale umano evidenzia le lacune del nostro Paese: nel 2019 solo il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base, a fronte di una media europea del 58% e del 70% in Germania.
Anche per quanto riguarda l’utilizzo dei servizi Internet, il nostro Paese rimane ben al di sotto della media Ue: il 17% delle persone non ha mai utilizzato Internet (rispetto a una media europea del 9%), il 48% utilizza servizi bancari online (66% in Ue) e, in generale, risultano poco diffuse attività quali lettura di notizie online, shopping e vendita online.
Nonostante un miglioramento nell’accesso alla banda larga tra il 2018 e il 2019, la disponibilità della fibra ottica rimane al di sotto della media europea. Anche l’accesso a Internet mostra lacune importanti: secondo il Rapporto Benessere equo e sostenibile 2021 dell’Istat, tre famiglie italiane su dieci non dispongono ancora di un computer e di una connessione internet da casa. Anche se l’accesso avviene tramite smartphone, l’uso del cellulare non consente una fruizione completa e articolata. È evidente, continua il report, che la DaD abbia inciso sui percorsi educativi di bambini e bambine. In un Paese dove l’accesso alla banda larga non è garantito a tutti, dove famiglie e individui hanno scarse competenze digitali, la didattica online non è riuscita a sostituire quella in presenza in modo uniforme. Alla fine dell’anno scolastico 2019-2020, circa 600 mila studenti (l’8% del totale) sono rimasti esclusi da qualsiasi forma di didattica a distanza e non hanno preso parte alle lezioni online. I periodi di DaD produrranno una perdita di apprendimento equivalente a 0,6 anni di scuola e un aumento del 25% della quota di bambini e bambine della scuola secondaria inferiore al di sotto del livello minimo di competenze, secondo la stima dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (Invalsi) citata nel Rapporto.
DaD e isolamento sociale. Il calo degli apprendimenti e della motivazione allo studio è strettamente collegato alla scarsa socialità e all’isolamento provocato dalla DaD. In un sondaggio svolto dalla Fondazione Italia in salute, 20mila studenti e studentesse delle scuole superiori di età compresa tra i 14 e i 18 anni hanno dichiarato che l’elemento che è più mancato è stato ridere con i compagni di scuola (89%), seguito dalla vicinanza fisica (68%).
Benessere psico-fisico. Preoccupa lo stato di benessere dei ragazzi. Nei periodi di lockdown, evidenzia il Rapporto, oltre alla scuola si sono interrotte tutte le attività extra-scolastiche che contribuiscono alla crescita e allo sviluppo di competenze non cognitive. La quarantena e l’isolamento sociale producono cambiamenti fisiologici e sociali, come l’alterazione del ritmo sonno-veglia, dell’attività fisica, dell’alimentazione, dell’esposizione alla luce solare. Secondo l’Oms, in seguito alla pandemia, almeno il 10% dei bambini e il 20% degli adolescenti rischiano di sviluppare disturbi mentali. Dall’inizio della pandemia, il 16,5% della popolazione italiana ha manifestato sintomi di depressione, ma tra i più giovani questa percentuale sale al 34,7%.
L’educazione, osserva il report, non può limitarsi all’acquisizione di nozioni di matematica, italiano e scienze, ma dovrebbe articolarsi in un insieme di esperienze culturali, sportive, sociali e relazionali che contribuiscono a formare il capitale umano di bambini e ragazzi. È necessario coinvolgere tutti gli attori della comunità educante, arricchire l’offerta formativa e valorizzare il territorio. La povertà educativa tende a trasmettersi di generazione in generazione, e la presenza di un’offerta ludico-culturale nel territorio risulta particolarmente importante per i giovani provenienti dalle famiglie più svantaggiate dal punto di vista economico-sociale.
Le tre azioni per il futuro. È necessario avviare un processo di ristrutturazione della scuola e di cosa significhi fare scuola, dice il Rapporto. Per evitare il rischio di dispersione scolastica e livellare le disuguaglianze sociali è fondamentale investire anche sulle competenze non cognitive di ragazze e ragazzi. Da un lato è necessario che queste competenze possano essere coltivate anche a scuola, ma per farlo la scuola adotti metodologie didattiche innovative, che favoriscano il protagonismo degli studenti. Per rafforzare questo scenario, WeWorld propone tre azioni per il rilancio dell’educazione in Italia:
- Estendere l’obbligo di istruzione passando dalla fascia 6-16 anni a 3-18 anni
In questo modo si garantirebbero i benefici dell’educazione della prima infanzia a tutti i bambini, con conseguenze positive in termini di apprendimento e performance educative nel lungo periodo. Estendere l’obbligo a 18 anni, favorirebbe la prevenzione e il contrasto alla dispersione scolastica, consentendo di ridurre il fenomeno dei Neet.
- Rimodulare il calendario scolastico
La rimodulazione del calendario scolastico, con la riduzione delle vacanze estive a due mesi (luglio e agosto), e il contemporaneo inserimento di pause distribuite in maniera uniforme e bilanciata durante l’anno scolastico porterebbe un duplice vantaggio: maggiore continuità didattica e uguaglianza sociale. Ridurre le vacanze estive permette di limitare il periodo prolungato in cui i giovani non ricevono un’istruzione, evitando il rischio di perdita di competenze e contemporaneamente favorirebbe l’uguaglianza sociale, visto che la partecipazione alle attività culturali estive è legata all’offerta del territorio, alle risorse economiche e al background familiare.
- Dirigente del “tempo extra-scuola”
Questa figura avrà l’incarico di potenziare e coordinare l’offerta formativa e l’organizzazione di attività extracurricolari, collaborando con il Terzo Settore. La proposta di inserire una figura specifica nasce dalla necessità di attribuire maggiore rilevanza e spazio di operatività all’extra-scuola. Tale misura mira a colmare quella carenza di esperienze attive e relazionali, aggravata dalla pandemia e dai ripetuti lockdown, nell’ottica di porre al centro l’interesse di bambini e bambine e adolescenti.
di Tommaso Tautonico
Fonte foto di copertina: stockbroker/123rf