Editoriali
Dall’inquinamento al dissesto idrogeologico, senza un cambio di rotta che punti sulla prevenzione i costi sociali ed economici saranno incalcolabili. Serve una visione generale per la difesa del territorio, da attuare con politiche coraggiose.
“Da sessant'anni si parla di smog in Val Padana […] Le principali fonti sono traffico stradale, riscaldamento domestico, industrie, agricoltura. Per ripulire la miscela mefitica bisogna cambiare abitudini sbarazzandoci del ritornello che ciò implica danni economici. I danni a salute e clima non diventano poi sociali ed economici?”
Così Luca Mercalli, noto climatologo e divulgatore scientifico, va dritto al punto sul tema dell’inquinamento. Un argomento che è stato particolarmente al centro del dibattito nell’ultima settimana, dopo che l’Air Quality Index domenica 18 febbraio aveva posizionato Milano al terzo posto tra le città più inquinate del mondo, prima anche della città indiana di Delhi. L'attendibilità della classificazione è stata messa in discussione (come riportato anche da Il Sole 24 Ore), sia perché realizzata da una azienda svizzera che produce purificatori d’aria, sia per la metodologia che non offre una media annuale ma una classifica istante per istante. Ma dalla discussione che ne è scaturita una cosa è emersa molto chiaramente: le condizioni dall'aria in vaste zone del Settentrione rimangono pessime e non si sta facendo abbastanza.
Così mentre in Italia ci si scontra sulle misure da mettere in campo, l’Unione europea va avanti indicando la strada con una nuova normativa sull’inquinamento e passando la palla agli Stati membri, incluso il nostro, che dovranno ora decidere se procedere speditamente per proteggere la salute dei cittadini o prevedere “deroghe o clausole che possano giustificare ritardi nel raggiungimento degli obiettivi europei”, come sottolineato da Legambiente.
L’associazione ambientalista proprio poche settimane fa aveva pubblicato il suo rapporto “Mal’aria 2024” per denunciare un “processo di riduzione delle concentrazioni inesistente o comunque troppo lento”, considerato che nonostante i lievi progressi degli ultimi 10 anni, l’Italia continua ad essere tra i primi Paesi in Europa per numero di morti premature all’anno per PM2.5, raggiungendo i 47mila decessi sui 253mila totali nel continente. Positiva dunque, secondo Legambiente, la notizia dell’accordo provvisorio raggiunto dalle istituzioni Ue per fissare standard rafforzati di qualità dell’aria a livello europeo per il 2030, allineandoli alle raccomandazioni di salute dell’Organizzazione mondiale della sanità. Per intervenire su una situazione che vede oggi l’84% di città italiane per il PM2.5 e il 69% per PM10 non in linea rispetto ai nuovi limiti normativi, sottolinea l’associazione, servono misure strutturali: investire seriamente nel trasporto pubblico locale, incentivare l’elettrificazione dei veicoli, predisporre un piano ampio per migliorare l’efficienza energetica degli edifici, ridurre le emissioni agricole regolamentandone strettamente le attività.
Intanto, per fronteggiare l’emergenza inquinamento di questi giorni certificata anche dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Arpa), accentuata dalle condizioni metereologiche del periodo, come riportato da La Repubblica l’assessore all’ambiente della Regione Lombardia, Antonio Maione, ha chiesto che “venga convocata la cabina di regia sulla qualità nel bacino padano per calibrare azioni condivise” e perseguire politiche comuni al di là dei confini geografici. Fra gli esperti di qualità dell'aria viene proposto l’utilizzo dappertutto di sistemi di previsioni dei livelli di smog, come avviene per il meteo, per dare informazioni alla popolazione. “Una sorta di allerta inquinamento da diramare a tutti i cittadini come avviene per i nubifragi o il vento forte” ha spiegato Paride Mantecca, direttore del centro di ricerca Polaris della Bicocca, “un modo per dare a tutti, specialmente ai più fragili, la possibilità di proteggersi in giornate di smog estremo come queste”.
Nell’attesa delle misure, la società civile si sta attrezzando a modo suo. Ne sono un esempio le attività di Cittadini per l’aria, associazione che ha condotto la campagna di scienza partecipativa “NO2 – No grazie!”, a cui ha aderito anche l’ASviS. Un’iniziativa scientifica di monitoraggio del biossido di azoto (NO2), attraverso l’installazione di campionatori con la partecipazione delle persone in giro per la città, per conoscere la qualità dell’aria (qui i risultati di Roma e Milano). Esistono anche altri strumenti per il monitoraggio della qualità dell’aria, come lo European air quality index, che permette agli utenti di monitorare i livelli di emissioni in qualsiasi località europea sulla base di informazioni costantemente aggiornate, provenienti da oltre 3.500 stazioni di monitoraggio. O ancora, dal mondo delle imprese, si segnala il progetto di Ecosud “Gretacar”, vincitore dell’edizione 2023 del Premio Giusta transizione dell’ASviS: uno strumento innovativo di monitoraggio ambientale che permette a ogni cittadino di installare sul proprio veicolo una stazione mobile, capace di raccogliere informazioni sulla qualità dell’ambiente, inviare segnalazioni sulle problematiche riscontrate e condividere dati in tempo reale. Tutte iniziative volte a rendere cittadine e cittadini più consapevoli e a tutelarsi, un punto considerato importante anche dalla nuova normativa europea, che tra le novità ha introdotto il diritto al risarcimento: chi subisce danni alla salute a causa dell'inquinamento atmosferico potrà essere risarcito in caso di violazione delle norme Ue da parte dei governi nazionali.
Casi virtuosi esistono anche a livello regionale, ma per accelerare andrebbero estesi su scala nazionale. Ne abbiamo parlato martedì 20 febbraio alla presentazione del Position paper ASviS sui servizi ecosistemici, presso la sede della Provincia di Parma, raccontando di buone pratiche (non solo contro l’inquinamento, ma per la tutela dell’intero territorio) come la vendita dei “crediti di sostenibilità”, attivata dal Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, per neutralizzare quegli impatti ambientali che le aziende ancora non riescono a ridurre o eliminare. Tutelare l’ambiente, sia per i benefici che offre per il benessere delle persone di oggi, sia nell’interesse delle future generazioni, fa parte da due anni dei principi della nostra Costituzione. La riflessione su come mettere in pratica questo principio l’abbiamo messa al centro del dibattito soprattutto in questi giorni, anche con un evento interamente dedicato.
A fare un bilancio a tutto tondo sull’ambiente ci ha pensato in settimana il Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (Snpa), la rete formata da Ispra nazionale e Arpa regionali, con un Rapporto presentato il 21 febbraio alla presenza del ministro Pichetto Fratin. Un'analisi in 21 punti sullo stato dell'ambiente in Italia che presenta “un quadro complessivo buono, ma che richiede attenzione e impegno costanti”, come evidenzia Snpa: “bene le rinnovabili, raccolta differenziata e controlli. Ancora da lavorare su consumo di suolo, gas serra e rifiuti speciali”.
L’attenzione va tenuta alta soprattutto di fronte ai ritmi di crescita e alle possibili evoluzioni previste negli scenari futuri. Un articolo su FUTURAnetwork racconta ad esempio le previsioni di Cmcc, secondo cui le emissioni nel settore trasporti a livello globale potrebbero aumentare fino al 50% entro metà secolo, se non si attuano importanti sforzi di mitigazione. In un focus, invece, si è riflettuto sull’impatto dell’inquinamento atmosferico e acustico sulla salute mentale, oltre che sul tema dell’inquinamento luminoso, mettendo in guardia sul rischio di un futuro con “cieli senza stelle”.
Parlando di tutela dell’ambiente e della salute nei territori, non si può infine non menzionare la questione dissesto idrogeologico. I dati dell’ultimo focus Censis-Confcooperative denunciano il conto salato dei danni causati da eventi estremi: 210 miliardi provocati da disastri naturali e cambiamenti climatici, di cui ben 111 determinati dagli effetti dei cambiamenti climatici (in primis alluvioni, a seguire ondate di calore, precipitazioni, siccità, incendi e ondate di freddo). “La cura del territorio non è un costo, ma un investimento sul sistema Paese”, ha sottolineato Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative.
Con questo spirito il 9 febbraio la Società italiana di geologia ambientale (Sigea) ha presentato al ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, una serie di proposte per intervenire sul tema: dal finanziamento di un fondo per assumere nei comuni personale tecnico a tempo determinato e delle campagne di educazione ambientale all’istituzione di una giornata nazionale della “Consapevolezza dei pericoli naturali”. Anche l’ASviS presenterà le sue raccomandazioni al ministro, raccolte in un nuovo Policy brief, intavolando un dibattito il 4 marzo sulle politiche di prevenzione e contrasto al dissesto idrogeologico.
Dall’inquinamento al dissesto, ciò che manca è la definizione di una visione generale per la difesa del nostro territorio, da attuare con politiche coraggiose. Per cambiare approccio bisogna superare quelle “scelte timide” portate avanti dalla politica, per usare le parole di Edoardo Croci, professore di Economia ambientale alla Bocconi, tratte dall’articolo de Il Sole 24 Ore, e come sostiene da sempre anche l’ASviS, poiché “Le scelte ambientali sono impopolari e costose, ma se ben attuate nel lungo periodo portano vantaggi, perché fanno risparmiare in salute e quindi alleggeriscono il sistema sanitario”. Se non cambiamo rotta, i costi dell’inazione nella lotta al cambiamento climatico saranno incalcolabili e cresceranno nei prossimi decenni. Potranno ridurre il Pil di circa il 7% entro la fine del secolo, secondo la Commissione europea. Tagliare le emissioni del 90% al 2040, invece, tra gli altri benefici potrebbe ridurre la mortalità prematura dovuta all'inquinamento atmosferico da 466mila persone all'anno (dati 2015) a 196mila nel 2040, con una relativa riduzione dei costi da circa 1.700 miliardi di euro nel 2015 a 670 miliardi di euro nel 2040.
Il perseguimento degli obiettivi climatici, per quanto impegnativo, è l’unica opportunità che abbiamo per garantire un futuro sostenibile a tutte e tutti. La pensa diversamente, però, una parte dello schieramento conservatore, che ha scelto questo tema per demonizzare gli ambientalisti. In un articolo su Libero, Daniele Capezzone attacca chi sostiene le politiche di accelerazione della transizione, affermando che “i talebani dell’ecologia” vogliono usare “l’arma della paura” per limitare la libertà dei cittadini, con l’intento di “dirigere le nostre vite, di orientarle secondo la visione ‘etica’ stabilita da altri, di premiarci o punirci a seconda del nostro grado di adesione al nuovo ‘dogma’”. Ma sostenere l’accelerazione verso un nuovo modello di sviluppo non è una semplice posizione ideologica, né andrebbe vissuta come una imposizione o limitazione della libertà. Incentivare le rinnovabili, mettere in sicurezza il territorio, adottare politiche ambientali più attente è una scelta dettata dall’urgenza di rispondere a esigenze immediate, come quella di salvare dagli effetti dell’inquinamento centinaia di migliaia di vite nell’Unione europea.
Fonte copertina: nadyginzburg, da 123rf.com