Editoriali
Regole, educazione, tecnologia. Tre punti per ridurre i 454 incidenti stradali che si verificano ogni giorno in Italia. Il successo, richiesto anche dall’Agenda 2030, dipenderà dalle politiche, ma soprattutto dalla responsabilità di ognuno.
di Flavia Belladonna
Salgo in auto, la accendo e premo subito sull’acceleratore. Sono di fretta, è tardi. Sfreccio veloce tra le vie, per quel che mi consente il traffico mattutino, pensando alle cose da fare in giornata. Vorrei andare più veloce, invece un’altra automobile sembra volersi prendere tutta la calma del mondo per la sua manovra. Ma perché ci mette tanto? L’attesa mi fa venire la tentazione di guardare il cellulare, ma ecco, si riparte con un’accelerata, anche un po’ eccessiva, come se questo potesse controbilanciare la lentezza dell’altro guidatore. Devo fare tante cose, devo sbrigarmi, accelero.
Una scena della mia vita quotidiana, probabilmente comune a molti di noi. Abbiamo fretta di andare in ufficio, a scuola, al supermercato, a un appuntamento, o anche semplicemente a trovare un amico. Più veloce vado, prima arrivo. Ma poi i giornali ti ricordano che è passato un anno dalla morte di Francesco Valdiserri, il giovane di 18 anni investito il 19 ottobre del 2022 da un'auto mentre camminava su un marciapiede, per molti simbolo della lotta per la sicurezza stradale a Roma, e che proprio in questi giorni le vite di altri pedoni sono state falciate. Oltre 165mila incidenti nel 2022, secondo i dati Aci-Istat, con circa 3mila morti, incluso Francesco. Praticamente ogni giorno 454 incidenti, 8,7 morti e 612 feriti. Per un drink di troppo, per una distrazione al cellulare, per arrivare presto. Un problema su cui l’Italia, insieme ad altri 192 Paesi dell’Onu, si è impegnata a intervenire con il Target 3.6 dell’Agenda 2030 “Entro il 2030, dimezzare il numero di decessi a livello mondiale e le lesioni da incidenti stradali”, un obiettivo inizialmente fissato al 2020 e quindi già mancato, come rilevato dall’ASviS nel Rapporto di quell’anno.
Secondo le statistiche, se un automobilista investe una persona a 30 km orari, nove volte su dieci i pedoni possono essere salvati. Cosa?! Ma 30 km all’ora è troppo piano! E poi le parole di Luca Valdiserri, giornalista e padre di Francesco, in una intervista su La Stampa, arrivano dritte allo stomaco:
"Dimmi tu, quanti morti sei disposto ad accettare per arrivare cinque minuti prima al lavoro?"
Secondo il giornalista, “L'Italia è una nazione fatta a misura di automobilista e non a misura del cittadino pedone o ciclista”. Come possiamo intervenire dunque per rendere le nostre strade più sicure per tutte e tutti? Valdiserri menziona il modello inglese di successo basato su tre “E” - Engineering, Enforcement, Education – da cui possiamo partire per approfondire una riflessione sui vari aspetti qui in Italia.
ENFORCEMENT. Regole e leggi. La novità principale nel nostro Paese sono le nuove norme sulla sicurezza stradale e la riforma del Codice della strada, approvata in Consiglio dei ministri a settembre e che potrebbe entrare in vigore a fine 2023, con cui saranno previste tra le varie misure sanzioni più dure per chi non rispetta le regole (guida in stato di ebbrezza, uso di droghe, telefonino, corsie dei mezzi pubblici, ecc.). Questo deve essere necessariamente accompagnato, però, da maggiori controlli. L’Associazione sostenitori ed amici della polizia stradale esprime un giudizio complessivamente positivo sul pacchetto di riforma, ma ribadisce che “se non si incrementa il sistema dei controlli sulle strade con più pattuglie di polizia si correrà il rischio di un effetto positivo solo immediato ma che poi verrà svuotato nel momento che ci si accorgerà della modesta probabilità di incappare nei controlli delle divise, se non dopo un sinistro stradale, quando ormai sarà però troppo tardi”.
A luglio di quest’anno, invece, è stato presentato alla Camera il disegno di legge per realizzare città a 30km all’ora, su iniziativa di un gruppo trasversale di parlamentari promossa dalla piattaforma di associazioni #Città30subito. La proposta di legge “Norme per lo sviluppo delle città 30 e l’aumento della sicurezza stradale nei centri abitati” chiede innanzitutto di abbassare il limite di velocità nei centri urbani a 30 km/h, mantenendolo a 50 km/h solo nelle vie ad alto scorrimento, ma sollecita anche un vero e proprio ridisegno delle strade urbane, con maggiori controlli ed educazione. La proposta dei 30 km/h può risultare facilmente impopolare, considerata la fretta contagiosa dello stile di vita moderno, anche se alcuni risultati di questa buona pratica adottata già in altri Paesi europei possono stupire: a Londra, ad esempio, dopo l'abbassamento del limite di velocità, le morti in strada si sono ridotte del 25%, mentre gli investimenti di pedoni si sono abbassati del 63%; nella capitale belga, dopo l'approvazione del limite a 30km/h nelle zone urbane, gli incidenti sono diminuiti del 28% e i morti e feriti gravi del 50%. L’efficacia di una riduzione del limite massimo in città in Italia è oggetto di discussione, ma è importante ricordare che l’eccesso di velocità su strade urbane è la prima causa degli incidenti mortali e rimane pertanto un punto su cui riflettere attentamente per valutare come intervenire.
Nel 2022, con il governo Draghi, è stato approvato il Piano nazionale della sicurezza stradale 2030: un pacchetto di misure basato su una visione sistemica che prende in considerazione tutti gli elementi della sicurezza stradale (infrastrutture, utenti, veicoli), volto a ridurre del 50% entro il 2030 le vittime e i feriti gravi per incidenti stradali rispetto al 2019 e ad azzerarli entro il 2050. Il miglioramento richiesto dovrà avvenire attraverso azioni tese al monitoraggio e all’adeguamento della segnaletica stradale orizzontale e verticale, alla riduzione della velocità, alla messa in sicurezza dei percorsi per gli utenti deboli e vulnerabili (come pedoni e ciclisti), alla diffusione di veicoli elettrici, alla formazione sui temi della sicurezza stradale, in coerenza con l’Agenda 2030.
EDUCATION. L’educazione. Tornando al problema della velocità, servono iniziative educative per contrastare in primis “la voglia di correre per il gusto di correre” che può interessare diversi giovani, ma questo non è l’unico punto che richiede un lavoro di sensibilizzazione. Al secondo posto delle cause degli incidenti urbani si trova infatti la guida distratta, al terzo la mancata precedenza sulle strisce pedonali. Le sempre maggiori capacità degli smartphone, usati non solo per chiamare e messaggiare ma anche per fotografare, fare videoriprese e condivisioni sui social, rappresentano una fonte di distrazione importante, soprattutto per le giovani generazioni, che va monitorata attentamente. Riguardo alla mancata precedenza, si ricorda che diverse delle vittime delle ultime settimane si trovavano su strisce pedonali, e lo stesso Francesco era addirittura su un marciapiede, un luogo che dovrebbe sempre essere considerato sicuro, tanto che il padre aveva commentato la sentenza sul caso spiegando: “da papà ansioso, gli avevo impedito di avere un motorino ma non mi ero spinto al punto di dirgli di non camminare sul marciapiede”. Garantire dunque spazi sicuri per i pedoni rappresenta una priorità, a cui il governo Draghi tra l’altro si era già dedicato, con la modifica al Codice della strada, indicando che il guidatore deve rallentare e cedere il passo non solo a chi è sulle strisce pedonali, ma anche a quei pedoni che non sono ancora entrati sulle strisce e stanno per farlo. Chi ha fatto la scuola guida prima dell’introduzione di questa novità, però, questa regola non la sa. Si pone dunque oggi il tema della formazione anche per gli adulti, che devono essere aggiornati sulle nuove regole. Il tema degli spazi sicuri va di pari passo, poi, con il problema di alcol e droga (la ragazza che aveva investito Francesco, ad esempio, aveva un tasso alcolemico ben al di sopra di quello concesso), da affrontare responsabilizzando gli utenti della strada. Infine, anche la disinformazione sull’uso dei dispositivi di sicurezza genera vittime e richiede di istruire i giovani quanto gli adulti, in particolare i genitori, che dovrebbero ad esempio utilizzare sempre i seggiolini per i propri figli e assicurarli con la cintura, eppure secondo l’indagine Passi nel 2021-2022 due intervistati su 10 hanno riferito di avere difficoltà a far uso di questi dispositivi, di non utilizzarli affatto o perfino di non avere alcun dispositivo di sicurezza.
Per affrontare tutti questi aspetti, occorre generare una cultura della sicurezza stradale, partendo con l’educazione stradale fin dalla primaria. Seminare bene fin da piccoli, per proseguire con un percorso educativo soprattutto per gli adolescenti, in cui ad esempio: insegnare a divertirsi anche in modo sano e responsabile, organizzandosi con un taxi o a turni per la guida; sensibilizzare all’uso di cellulari e social in modo sicuro, per evitare incidenti causati da risposte in chat o video ripresi in movimento; abituare al rispetto degli spazi altrui (disabili, corsie dei mezzi pubblici, accesso libero ai marciapiedi per i passeggini, ecc.); sviluppare la civiltà nel muoversi sulle strade come automobilisti e la prudenza negli attraversamenti come pedoni, ciclisti e conducenti di monopattini. Infine, per gli adulti, campagne di educazione, informazione e comunicazione rivolte a tutti gli utenti della strada per comportamenti responsabili.
ENGINEERING. Ingegneria e tecnologia. Progettare strade sicure, segnalare adeguatamente gli attraversamenti pedonali, prevedere dossi per limitare la velocità, ma anche manutenere adeguatamente il manto stradale. Sono solo alcune delle misure da poter mettere in campo sulle infrastrutture per garantire la sicurezza. Esattamente un mese prima di sposarmi, pensai bene in motorino di finire dentro una delle tante buche di Roma. Mentre volavo per terra mi guardai indietro temendo di essere investita perché ero su una strada ad alto scorrimento. Per fortuna la macchina dietro di me rallentò, io me la cavai solo con un po’ di fisioterapia e un tutore al ginocchio e fui probabilmente una delle poche spose a poter mangiare con calma il buffet da seduta, per sorriderci su. Ma subito dopo esser caduta, mentre mi soccorrevano, un altro motociclista mi si avvicinò per lasciarmi un bigliettino con il numero di telefono, dicendosi pronto a testimoniare in mio favore “contro le buche della Capitale che ci uccideranno tutti, a noi motociclisti” e raccomandandomi di andare in ospedale solo in ambulanza per poter sporgere denuncia. Tra l’aneddoto sulla piccola buca romana e il crollo del viadotto Morandi di Genova si trovano le gravi carenze di monitoraggio e manutenzione delle strade. Nel Rapporto ASviS che abbiamo diffuso il 19 ottobre, tra gli indicatori di particolare interesse per le infrastrutture stradali si segnala “quello degli incidenti mortali in rapporto alla popolazione, che riflette anche una peggiore qualità delle strade e un maggiore congestionamento, dovuto a una minore offerta rispetto alla domanda”. Nel documento viene ricordato anche che il tasso di mortalità stradale italiano è nettamente peggiore di quello medio europeo, rispettivamente pari a 5,4 e 4,6 morti ogni 100mila abitanti, e che l’andamento dell’Italia sul tema è “discordante tra il lungo e il breve periodo, il che vuol dire che il risultato finale dipenderà dall’orientamento prevalente nelle politiche dei prossimi anni”. Guardando il seguente grafico, si può notare il positivo calo dei morti per incidenti stradali avvenuto nel tempo, soprattutto grazie all’obbligo di dispositivi di sicurezza, come le cinture, e alle tecnologie. Tuttavia, dopo un periodo di importanti progressi la curva inizia ad appiattirsi, rimanendo costante fino a prima della pandemia salvo piccole oscillazioni. Nel 2022 il valore è tornato analogo a quello del 2019. La domanda da porsi ora è: cosa può far scendere nuovamente la curva?
Sicuramente le tecnologie possono svolgere un ruolo importante per continuare ad aumentare la sicurezza. Dall’alcolock, dispositivo per collegare il sistema di accensione dei veicoli al tasso alcolemico che nelle auto dal 2024 sarà predisposto obbligatoriamente, ai sistemi che leggono i segnali stradali impedendo di superare il limite. O ancora, Crosstop, l’invenzione italiana che segnala alle auto in arrivo che una persona sta attraversando la strada attraverso suoni, segnali luminosi o proiezioni stradali, per evitare soprattutto gli incidenti causati dal sorpasso di auto che si sono correttamente fermate al passaggio di un pedone. E chissà se le tecnologie non potranno riservarci anche qualche sorpresa: si arriverà forse in un lontano futuro alla proibizione delle auto a guida umana perché meno sicure? Ne abbiamo parlato in questo articolo su FUTURAnetwork, in cui emerge che secondo una ricerca di Waymo, impresa del gruppo Alphabet (Google) impegnata nella creazione di autovetture autonome, queste automobili causerebbero un tasso di incidenti pari solo allo 0,59 per milione e mezzo di chilometri percorsi, rispetto ai tre per le vetture a guida umana; per questo motivo David Shapiro, esperto di intelligenza artificiale, sostiene che “una volta che la guida sarà resa automatica, quella umana dovrebbe essere considerata illegale, perché meno sicura”. Insomma, tra le promesse delle “superbatterie” che forniranno ai veicoli elettrici un'autonomia di circa 1.200 chilometri (il doppio rispetto ai modelli esistenti) e un tempo di ricarica pari a 10 minuti, e i nuovi sistemi per una guida più sicura, sembra proprio che la scelta sulle auto del futuro si stia orientando sempre più verso automobili sostenibili sia a livello ambientale che sociale.
Ma in attesa di nuove tecnologie, se vogliamo far nuovamente scendere la curva delle vittime da incidenti stradali tocca rimboccarci le maniche a tutti i livelli per garantire controlli, manutenzione, educazione e responsabilità. Cominciamo cambiando i comportamenti, soprattutto chiedendoci: “quanti morti sono disposto ad accettare per arrivare cinque minuti prima a un appuntamento, rispondere subito a un messaggio, bere un bicchiere in più?”
Fonte copertina: Flavia Belladonna (2023)