Editoriali
Anche in Italia segnali di inciviltà, possiamo fermarli?
Mentre tornano ad aumentare gli omicidi, sui media i racconti di violenze fisiche, psicologiche e verbali sono pane quotidiano. Il rispetto e la solidarietà siano l’antidoto alla legge del più forte e alla cultura del nemico.
di Flavia Belladonna
È morto solo, a causa dell’inciviltà di chi ha ucciso la sua stirpe, “l’uomo della buca”. Ultimo superstite di una tribù brasiliana estinta per mano di minatori illegali e altri invasori, viveva isolato da 26 anni scavando fosse per sopravvivere. La sua storia, raccontata in questi giorni sui media, suona così distante dalla nostra cultura, eppure la solitudine e la violenza che interessano molte persone nel nostro Paese sono estremamente vicine e attuali.
Che si parli di donne o uomini, comunità Lgbtq+ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender), migranti, disabili, bambini o bambine, la violenza assume volti diversi riempiendo le cronache dei quotidiani. Dal recente caso di Alessandra Matteuzzi, la 56enne bolognese uccisa a martellate dal suo ex compagno nonostante le denunce per stalking sporte ai carabinieri, ad Alika, l’ambulante nigeriano morto per asfissia violenta in pieno centro a Civitanova Marche, dalla 12enne disabile picchiata selvaggiamente dai suoi coetanei per un video sui social al giovane Davide Ferreiro, vittima di un brutale pestaggio frutto di uno scambio di persona.
L’Italia è tra le economie più avanzate al mondo, eppure le pagine nere riempite da queste storie riflettono una direzione fatta di crescenti manifestazioni di inciviltà, in cui a vincere è il più forte, a dominare la sfiducia o la paura nei confronti dell’altro, a prevalere la chiusura verso la diversità. È questa la direzione che l’Italia vuole prendere e che lascerà in eredità ai propri figli, figlie e nipoti?
Secondo il rapporto annuale del Viminale sulla sicurezza, in un anno (tra il primo agosto 2021 e il 31 luglio 2022) sono state uccise 125 donne, in media più di una ogni 3 giorni, in aumento rispetto a quello precedente. Per la maggior parte (108) gli omicidi si sono consumati in ambito familiare o affettivo, e in particolare da parte di un partner o ex (68). Insieme al problema della violenza c’è quello della solitudine, che andrebbe contrastato investendo tempo e risorse nella protezione, con una maggiore tempestività da parte dello Stato, e nell’ascolto delle vittime, potenziando anche i centri antiviolenza e i consultori familiari. Il dossier del Viminale riporta anche i dati complessivi sugli omicidi, che per la prima volta dal 2013 sono tornati a crescere, raggiungendo nell’ultimo anno i 319.
Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli, le cui parole sono state riportate in un articolo uscito su Agensir qualche anno fa ma purtroppo ancora terribilmente attuali,
Sono stati consumati, se non distrutti, alcuni princìpi, che erano alla base della nostra civiltà, che nasce in Grecia, a cui si aggiunge il cristianesimo. Non c’è più rispetto per l’altro, la morte è diventata banale, tanto che uccidere è una modalità per risolvere un problema […] Oggi domina la cultura del nemico: la superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una regressione antropologica perché si va alle pulsioni.
Anche i più giovani sono esposti a violenze (fisiche, psicologiche e verbali) da parte di coetanei, che reiterano meccanismi assimilati dai propri contesti di origine o dai social. L’indagine dell’Osservatorio Indifesa aveva rivelato alcuni dati allarmanti: un adolescente su due ha subito atti di bullismo, la metà di loro dice di aver paura di subire violenza psicologica e 7 su 10 dichiarano di non sentirsi al sicuro quando navigano in rete. Al tempo stesso, però, secondo il Digital Civility Index, sembra ci si stia abituando a un clima online fatto di odio: il 40% degli italiani rileva un peggioramento del livello di civiltà nelle relazioni online, ma il 50% dei Millennials e dei giovani della GenZ si dichiara meno preoccupato rispetto al passato quando si trova davanti a uno di questi comportamenti incivili sul web.
A questo si aggiunga che l’Italia è tra i Paesi europei con i più alti livelli di scarsa fiducia nelle persone - in particolare tra i gruppi di età più avanzata e tra coloro che si trovano in una situazione finanziaria peggiore -, quando invece la fiducia rappresenta un fattore chiave per il mantenimento del benessere della società. È fondamentale, dunque, partire dall’educazione nelle scuole per promuovere i valori del rispetto dell’altro e della conoscenza del diverso, oltre a diventare ciascuno di noi testimone di tolleranza e apertura al dialogo, in primis attraverso un linguaggio che sia rispettoso e inclusivo.
Per concludere la panoramica, un richiamo va fatto anche al tema delle carceri dal momento che “il grado di civilizzazione di una società si misura nelle sue prigioni”, come recita una citazione attribuita a Dostoevskij. Sul sito asvis.it abbiamo raccontato l’analisi dell’ultimo Rapporto Antigone, che rileva come il totale delle presenze in carcere sia tornato a crescere, raggiungendo nel 2021 un tasso di affollamento ufficiale medio del 107,4%, con differenze locali che raggiungono il tasso più elevato in un carcere bresciano (addirittura 185%). Per questo è importante che: il prossimo governo recuperi il percorso di riforma carceraria, al fine di salvaguardare la salute e dignità delle persone detenute e degli operatori; venga data maggiore attenzione al problema dell’aumento dei suicidi in carcere, da contrastare ad esempio con un maggiore accesso alle telefonate per ridurre la solitudine; venga sensibilizzata l’opinione pubblica sulla funzione del carcere affinché non sia visto solo come luogo punitivo ma anche e soprattutto riabilitativo.
Il tema della mancanza del rispetto non si ferma solo agli esseri umani: la violenza o disumanità verso gli altri va di pari passo anche con una violenza nei confronti dell’ambiente che ci circonda. In Cina si parla di “civiltà ecologica” per riferirsi a un nuovo modello industriale, di crescita e dei consumi improntato sul risparmio energetico delle risorse e sulla protezione ambientale. In questo quadro di violenze, dunque, credo che la via da intraprendere sia quella di realizzare una “civiltà sostenibile”, vale a dire una civiltà tridimensionale che sia in primis sociale, ma anche ambientale ed economica:
- una civiltà sociale, fondata sull’educazione di valori quali il rispetto, l’apertura alla diversità, il dialogo, la solidarietà, l’attenzione e il sostegno ai più fragili attraverso un nuovo modo di porsi scandito da una “Legge del più debole” anziché del più forte;
- una civiltà ecologica o ambientale, in grado di rimettere al centro il rapporto tra essere umano e natura, abbandonando innanzitutto il passato fortemente dipendente dai combustibili fossili per procedere verso una transizione ecologica e un futuro in cui le cittadine e i cittadini siano più attenti e rispettosi nei confronti del Pianeta che ci ospita;
- una civiltà economica, poiché la povertà ha un effetto deumanizzante sulle persone e porta alla violenza, pertanto sono necessarie misure per una più equa distribuzione del carico fiscale, per supportare le categorie più fragili e sostenere il Mezzogiorno.