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Non è facile trasformare l’economia in una ciambella
Nella Peccei Lecture Kate Raworth ha presentato un nuovo modello economico basato sui concetti di rigenerazione e distribuzione. Giovannini: non c’è abbastanza attenzione alle implicazioni sociali.
La Aurelio Peccei Lecture 2017 si è tenuta martedì 12 a Roma presso la Sala dei gruppi parlamentari ed ha avuto come protagonista Kate Raworth, autrice del libro “L’economia della ciambella”. La presentazione di questa nuova visione dell’economia è stata introdotta da Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia, che ha auspicato un nuovo modo per le imprese di prendere le proprie decisioni aziendali, magari basandosi proprio sullo schema della ciambella. Bologna ha inoltre presentato il Manifesto redatto dal Wwf Italia “Un S.o.s. (spazio operativo sicuro) per un futuro umano sostenibile” in cui si chiede alle imprese e ai singoli firmatari di impegnarsi concretamente per l’applicazione dell’Agenda 2030 e il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
La ciambella di cui parla la Raworth non è un modo più dolce di considerare i paradigmi economici, ma è una visione per sconvolgerli definitivamente.
La teoria economica tradizionale si pone come unico obiettivo la crescita infinita del Pil nel tempo e non definendo, e quindi non preoccupandosi, dei limiti in cui questo obiettivo agisce. Per questo motivo, l’autrice, nonché ricercatrice presso l’Environmental Change Institute dell’Università di Oxford, sostiene che “abbiamo bisogno di un nuovo modo di rappresentare l’economia”. E lei lo ha fatto attraverso la ciambella.
In questa immagine innovativa vengono rappresentati i margini di una crescita equa e sostenibile: il cerchio più interno rappresenta la base sociale, mentre quello più esterno delinea i limiti ambientali. Un’economia che non considera i bisogni della società, e non si muove di conseguenza, comporta un peggioramento della condizione dei cittadini e soprattutto delle fasce più deboli. Politiche economiche di questo tipo si tradurrebbero nell’aggravamento delle condizioni di povertà e nella carenza di fattori come la buona salute, l’approvvigionamento d’acqua e di alimenti, l’istruzione, la stabilità lavorativa ecc.
La crescita economica non deve, inoltre, “fare i conti senza l’oste” e non considerare il tetto ambientale. Non è più possibile, né credibile, basare l’economia di una società considerando uno sfruttamento infinito delle risorse naturali. Fare questo vuol dire andare incontro a problematiche quali i cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani, alla perdita della biodiversità e a tutte le conseguenze sociali ed economiche che queste comportano. “L’economia odierna ha bisogno quindi di uno nuovo design”, ha spiegato Raworth durante la lecture. Gli obiettivi devono essere diversi da quelli che intendevamo prima. La “nuova” economia deve essere rigenerativa e redistributiva. Deve essere capace, quindi, di rigenerare le risorse che sottrae al capitale naturale e redistribuire i benefici su tutta la popolazione. Kate Raworth ha terminato il suo intervento esortando tutti a partecipare ad un’economia che sia generosa, ossia che non si soffermi solamente su quanto è possibile ricavare da una situazione, ma su quanto possa dare e fare per l’intera comunità.
Anche il portavoce dell’ASviS, Enrico Giovannini, che ha redatto insieme a Gianfranco Bologna l’introduzione del libro della Raworth, ha preso parte alla conferenza sottolineando l’importanza della base sociale che l’autrice ha evidenziato come limite della crescita economica. Sebbene la politica e le imprese abbiano cominciato a capire che azioni di business as usual provocheranno problemi di carattere ambientale, ci si continua a scordare delle gravi implicazioni sociali. “Il rischio di sfondare il tetto (più o meno) è stato capito, ma il rischio di sfondare il pavimento, no”. Per Giovannini si incontrano ancora grandi difficoltà a ragionare in termini integrati e ad agire di conseguenza. L’intervento si è concluso con il riferimento a quattro proposte da mettere in atto per far si che il cambiamento non rimanga solo detto, ma anche praticato. La prima riguarda la redazione di una strategia nazionale per le città, affinché la gestione urbanistica sia omogenea a livello nazionale e non rimanga solo una questione decisionale dei singoli sindaci. La seconda proposta riguarda la rendicontazione delle imprese che dovranno cominciare a prendere in considerazione l’andamento di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile sulla base del nuovo indice che verrà presentato il 21 settembre a New York che fa il ranking della situazione imprenditoriale globale rispetto a tutti gli SDG. La terza azione da compiere è quella di proporre un programma per rivedere la contabilità nazionale affinché non consideri solo il Pil come unico fattore del benessere. Infine, è necessario sostenere e supportare l’educazione allo sviluppo sostenibile soprattutto nelle scuole per rendere più consapevoli le generazioni future.
di Giulia D’Agata
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