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Modifiche alla legge quadro sulle aree protette: le osservazioni dell’ASviS
La definizione di un sistema di governance efficace di protezione all’altezza delle sfide è cruciale, ha detto l’Alleanza in audizione al Senato. Sugli aspetti finanziari: “Il Ddl non prevede nulla in merito alle risorse”. 12/7/24
“L’ASviS condivide appieno nei principi le motivazioni alla base del Ddl, e specificamente il richiamo all’introduzione nei principi fondamentali della Costituzione all’art. 9 della ‘tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni’, di cui ASviS è stata fin dalle sue origini promotrice”.
Sono queste le parole con cui Luigi Di Marco, della Segreteria generale dell’ASviS, ha introdotto il suo intervento del 9 luglio presso l’ottava Commissione Ambiente del Senato in audizione sul disegno di legge n. 948, di modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, recante legge quadro sulle aree protette. Una introduzione in cui è stato valutato positivamente anche il richiamo, nella premessa al Ddl, alle raccomandazioni del Rapporto sul capitale naturale, rilanciate tra l’altro negli anni dalle diverse edizioni del Rapporto annuale dell’Alleanza.
Di Marco è poi entrato nel merito della gestione delle aree protette: “Considerando che all’orizzonte 2030 l’Italia, attuando gli impegni della Cop 15 di Kunmings-Montreal sulla biodiversità, della Strategia europea biodiversità al 2030 e della relativa Strategia nazionale per la biodiversità, dovrà ampliare le aree protette ad almeno il 30% del proprio territorio con un equivalente target anche per le aree marine, emerge cruciale la definizione di un sistema di governance efficace all’altezza delle sfide della protezione necessaria”.
Come le premesse al Ddl ricordano, il quadro normativo degli impegni per la biodiversità e gli ecosistemi si integrano con la normativa europea sul ripristino della natura approvata dal Consiglio dell’Unione il 24 giugno 2024. “La normativa nazionale sulla gestione delle aree protette e la normativa europea per il ripristino della natura dovrebbero di fatto essere tra loro complementari”, ha sottolineato Di Marco, allo scopo di perseguire una gestione integrata e sinergica della protezione e del ripristino della natura, sia ai fini dell’efficacia concreta delle azioni verso uno sviluppo economico “positivo per la natura” (come indicato anche negli atti del recente G7) che dell’economia amministrativa e gestionale, evitando inutili duplicazioni di strumenti di pianificazione e gestione, perseguendo razionalizzazione e ricomposizione unitaria di obiettivi e strumenti. In proposito è stata richiamata la raccomandazione 3 del quinto Rapporto sul capitale naturale, che indica di “ampliare l’estensione e il numero degli ecosistemi conservati, anche attraverso il ripristino o la libera evoluzione naturale (successioni ecologiche), secondo un Piano integrato di ripristino, conservazione e connessione delle aree naturali, affinché si disponga di una stima del fabbisogno nazionale, suddiviso per Regione, in termini ecologici (ettari, uso del suolo ed ecosistema potenziale) e monetari (esigenza finanziaria)”. Nella visione di una pianificazione unitaria tra tutela e ripristino della natura, dunque, è importante che “la normativa nazionale si adegui strutturalmente alla complementarità con la normativa europea e che integri misure sistemiche per attuare tutti gli impegni al 2030 indicati nei 23 target del quadro internazionale di Kunmings-Montreal nel perseguimento degli obiettivi chiave: 30% tutela e 30% ripristino degli ecosistemi degradati”.
È fondamentale, ha ribadito poi, che “la governance e gestione delle aree protette individui specifiche interconnessioni e sinergie con altri ambiti e quadri gestionali delle risorse ambientali”, come indicato ancora dal quinto Rapporto sul capitale naturale alla raccomandazione 12, in modo da offrire risposte coordinate a direttive diverse (ad esempio, la Strategia Ue sul suolo o la Direttiva quadro sulle acque) attraverso un piano d’azione sistemico e non emergenziale.
L’ASviS ritiene necessario che il concepimento del quadro di governance delle aree protette integri questa funzione di crocevia tra politiche ambientali ed economiche diverse, valutando in maniera più approfondita di quali strumenti gestionali e di quali capacità debba dotarsi al fine di assolvere questo ruolo, migliorando la qualità amministrativa e tecnica nel perseguimento di obiettivi ambientali diversi, anche introducendo misure strutturate di consultazione di portatori d’interesse e organizzazioni della società civile.
Non secondaria è anche l’integrazione tra tutela e ripristino delle aree protette e perseguimento degli obiettivi di resilienza e adattamento dei territori agli effetti dei cambiamenti climatici. La pianificazione e la gestione delle aree protette svolgono un ruolo primario in questo ambito, costituendo di fatto il cuore delle cosiddette “soluzioni basate sulla natura” per l’adattamento ai cambiamenti climatici. “La ben nota interconnessione tra tutela della biodiversità e adattamento ai cambiamenti climatici deve trovare nei quadri di pianificazione e gestione delle aree protette una solida interconnessione con il Piano nazionale d’adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), costituendo le misure di tutela e ripristino uno strumento attuativo del Pnacc stesso. È necessario, pertanto, un approfondimento del ruolo gestionale delle aree protette in tale ambito, anche in vista di un’evoluzione normativa delle politiche di adattamento e dell’introduzione di misure di finanziamento delle relative azioni in sinergia con la protezione della biodiversità”, ha proseguito Di Marco.
L’ASviS si è espressa anche in merito agli aspetti finanziari, sottolineando che “il Ddl non indica nulla in merito, né prevede lo stanziamento correlato di risorse”. Invece, la pianificazione e la gestione delle aree protette, che al 2030 coprirà quasi un terzo del territorio nazionale e delle aree marine, dovrebbe contribuire alla funzione fondamentale “di valutazione del fabbisogno finanziario”, come indicato dalla raccomandazione 19 del quinto Rapporto sul capitale naturale, nonché di strumenti per valutare i costi per la collettività che potrebbero derivare dall’inazione o dall’inadeguata azione. “La gestione delle aree protette dovrebbe offrire indicazioni per contribuire alla valutazione della spesa pubblica necessaria a garantire gli obiettivi di tutela e ripristino e considerare questi come un irrinunciabile investimento per la resilienza economica del Paese nel medio-lungo termine, a tutela delle stesse finanze pubbliche, di fatto in linea con le stesse raccomandazioni dell’Ue nel quadro di coordinamento macro-economico del semestre europeo”, ha concluso Di Marco.