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Centri antiviolenza: l’Italia non rispetta gli accordi internazionali
Secondo un’indagine Istat, le strutture destinate alle vittime di violenza sono 20 volte in meno di quelle previste. Le istituzioni rinnovano il loro impegno per il consolidamento di un piano nazionale antiviolenza. 22/11/2019
Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita per informare e sensibilizzare su questo grave problema. Questa ricorrenza ricorda anche l’importanza dei centri antiviolenza (Cav), che rappresentano il principale punto di riferimento sui territori per le donne che vogliono salvare le loro vite uscendo dalla spirale della violenza. Per questa ragione, in occasione della terza edizione degli Stati generali delle amministratrici, che ha avuto luogo l’11 novembre a Bologna, è stato presentato il protocollo d’intesa dei territori con DiRe (Donne in rete contro la violenza), firmato dal presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro e dalla ministra per le pari opportunità Elena Bonetti, che ha dichiarato: “Bisogna riattivare la cabina di regia per il coordinamento e il supporto dei progetti dei centri antiviolenza. I protocolli locali devono mantenere la coerenza nel principio di protezione non solo dalla violenza fisica, ma anche dalla violenza economica”.
La centralità del ruolo dei Cav sui territori è stata ripresa successivamente durante la sessione pomeridiana dell’evento, dove un intero tavolo di lavoro, dei tre predisposti per la stesura di un’agenda per l’uguaglianza e il contrasto alle discriminazioni di genere, è stato dedicato alle proposte di azione di contrasto alla violenza contro donne e minori.
Vista la loro importanza, l’Istat, in collaborazione con il Dipartimento per le pari opportunità, il Cnr e le Regioni, ha condotto la prima indagine sui centri antiviolenza sparsi su tutto il territorio italiano, diffusa il 28 ottobre.
Ammontano a 43.467 le donne che si sono rivolte ai Cav. 29.227 sono le utenti che hanno avviato un percorso di uscita dalla violenza, ossia il 67, 2% delle donne che hanno contattato i Centri. Un numero enorme, soprattutto se si pensa al ridotto quantitativo di strutture presenti nella Penisola.
Il Rapporto mostra una realtà che è lontana da quella stabilita negli accordi internazionali. La legge di ratifica della Convenzione di Istanbul del 2013 individua tra gli obiettivi quello di destinare un Centro antiviolenza ogni 10mila abitanti. Stando ai dati del 2017, nel nostro Paese sono solo 281 i centri antiviolenza: in altre parole si parla di 0,05 centri per 10mila abitanti. È un dato preoccupante specialmente se si considera che tra il 2012 e il 2017 sono state uccise 774 donne, una media di circa 150 all’anno: quasi ogni due giorni una donna viene uccisa.
Le differenze territoriali sono profonde. I tassi più elevati di donne che si rivolgono ai Cav si riscontrano in Emilia-Romagna, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia Autonoma di Bolzano, Abruzzo, Toscana e Umbria. Anche per le donne che hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza, il Nord-est presenta tassi più elevati (16,6 contro 10,7 per 10mila donne della media nazionale). Ciò non vuol dire che quest’area della penisola sia più colpita del fenomeno, ma che probabilmente in quel territorio le donne sono più pronte ad iniziare un percorso di uscita dalla violenza.
La reperibilità dei centri è alta. Il 98% delle strutture ha attivato diverse modalità per essere reperibile in modo continuativo, adottando soluzioni h24 come il numero verde, la segreteria telefonica o fornendo un numero di un telefono cellulare. L’apertura è in media di 5,1 giorni a settimana per circa sette ore al giorno.
Per quanto riguarda i servizi, la situazione è variegata: vista la complessità del percorso di uscita della violenza, i centri devono adottare un approccio multi-focale, sia prendendosi direttamente in carico le singole situazioni sia indirizzando l’utente verso altri enti territoriali. I servizi minimi che i Centri antiviolenza devono garantire sono ascolto, accoglienza, assistenza psicologica, assistenza legale, supporto ai minori, orientamento al lavoro e orientamento all’autonomia abitativa.
Nel 94% dei casi il servizio di ascolto viene erogato direttamene dal centro antiviolenza. Anche per quanto riguarda il supporto psicologico la copertura è alta (88%). Il supporto legale viene fornito direttamente dal 97% dei Centri e solo nel 2% dei casi demandato ad altro servizio territoriale.
I servizi di supporto alloggiativo, orientamento al lavoro e supporto ai minori possono essere forniti sia in forma esclusiva dai Centri (rispettivamente nel 41%, 63% e 34% dei casi), sia insieme ad altri servizi del territorio (rispettivamente 17%, 16%, 16%).
Più della metà del lavoro svolto dai Cav è di origine volontaria e quindi non è retribuito. Secondo quanto stabilito dall’Intesa Stato, Regioni e Province Autonome, i Centri si avvalgono esclusivamente di personale femminile. Sono 4.403 le donne che operano nei Centri; di queste, 1.933 sono retribuite e 2.470 impegnate esclusivamente in forma volontaria. Le professionalità maggiormente coinvolte sono di tre tipi: avvocate, psicologhe, educatrici e operatrici di accoglienza.
La formazione del personale rappresenta un fattore di eccellenza dei Centri antiviolenza. Infatti nel 92,9% dei Centri la formazione è obbligatoria sia per le operatrici sia per le volontarie e viene svolta almeno una volta l’anno. I temi trattati sono specialmente la tematica di genere, la Convenzione di Istanbul, i diritti delle donne e l’accoglienza delle donne migranti. Tuttavia ancora poco trattato è il tema dell’accoglienza delle donne con disabilità.
Le donne che lavorano nel settore sanno che la prevenzione è essenziale. Per questo i Cav sono impegnati anche in attività di formazione rivolte verso l’esterno. Nel 2017, l’81% dei centri ha organizzato attività formative esterne, rivolte soprattutto a operatori sociali e sanitari, ma anche alle forze dell’ordine e agli avvocati, mentre il 91,7% ha svolto attività d’informazione presso le scuole, che sono il luogo primario di contrasto alla cultura patriarcale, la radice della violenza di genere.
I centri antiviolenza svolgono un ruolo non solo di tipo emergenziale. I Cav infatti possono diventare un luogo di costruzione dell’autonomia, basata sulla relazione tra donne e sulla lettura della violenza di genere come fenomeno politico e sociale; essi sono luoghi dove viene coltivata una consapevolezza che sta alla base di ogni percorso di emancipazione femminile.
La violenza di genere è una violazione dei diritti umani. Aumentare il numero dei Centri antiviolenza è un passo essenziale per raggiungere l’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030. Il Target 5.2 si prefigge infatti di “Eliminare ogni forma di violenza nei confronti di donne e bambine, sia nella sfera privata che in quella pubblica, compreso il traffico di donne e lo sfruttamento sessuale e di ogni altro tipo”.Scopri di più sull’indagine Istat
Guarda il video di Sorgenia a favore dei Cav
di Eleonora Angeloni