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La prossima frontiera dello sviluppo: ripristinare gli ecosistemi e combattere le disuguaglianze
Il rapporto Undp 2020 illustra le sfide da affrontare per ridurre la pressione planetaria esercitata dall’uomo, inoltre l’aggiornamento della classifica Isu offre una nuova misurazione del progresso. Italia al 29esimo posto. 30/12/20
La pandemia è l’ultima crisi in ordine cronologico che il mondo è costretto ad affrontare ma, se non cambiamo il nostro modo di interagire con i sistemi naturali “non sarà né l’ultima né la peggiore”; inoltre, “non possiamo più permetterci di avere società distrutte e alti livelli di diseguaglianze”.
Il monito arriva dal Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp, United nations development programme) che, attraverso il suo ultimo Rapporto annuale diffuso a metà dicembre “The next frontier - Human development and the anthropocene”, fornisce un serie di linee guida da seguire per assicurare il progresso dell’umanità e per non rischiare di trasformare i prossimi decenni nei peggiori della nostra storia.
“Gli esseri umani esercitano un potere sempre maggiore sul Pianeta. Sulla scia del Covid-19, delle temperature record e della disuguaglianza crescente, è tempo di usare questo tipo di potere per ridefinire ciò che intendiamo per progresso, tenendo per esempio conto dell’impronta di carbonio", ha affermato Achim Steiner, amministratore dell'Undp, che ha poi aggiunto: “Purtroppo, come dimostra lo studio, nessun Paese ha ancora raggiunto uno sviluppo umano elevato senza compromettere l’integrità dei nostri ecosistemi. Ma potremmo essere la prima generazione a correggere questo difficile rapporto. È questa la prossima frontiera per lo sviluppo umano”.
Il rapporto si divide in tre parti: la prima esplora come lo “sviluppo umano” interagisce col fenomeno dell'antropocene; la seconda considera quali strategie attuare e quali azioni compiere per innescare il cambiamento; la terza propone nuove metriche per il monitoraggio dei risultati, fornendo un aggiornamento dell’indice di sviluppo umano in modo che sia in grado di considerare le pressioni esercitate dall’uomo sull’ambiente.
La modifica dell’Indice di sviluppo umano (Isu) rappresenta la vera novità di questo lavoro. L’Undp da 30 anni che annualmente l’Isu di tutte le nazioni, una classifica basata su tre indicatori (reddito nazionale pro capite, speranza di vita e anni di scolarizzazione) spesso oggetto di critiche per una serie di mancanze che rendevano la valutazione priva di determinati fattori capaci di influenzare il benessere di una popolazione. Proprio per questo motivo, con quest’ultimo studio l’Undp ha deciso di modificare l’Isu aggiungendo due specifici parametri che tengono conto della componente ambientale: le emissioni di anidride carbonica e l’impronta di materiale.
A seguito di questa modifica, dal rapporto emerge un nuovo quadro globale molto meno roseo che in passato, basti pensare che solo a causa della dipendenza dai combustibili fossili più di 50 paesi abbandonano il gruppo di “sviluppo umano molto elevato” (il più alto del ranking) e vengono retrocessi in altre categorie.
Nonostante il nuovo Isu, in cima alla classifica Undp troviamo ancora una volta la Norvegia, seguita dall’Irlanda (terza lo scorso anno) e dalla Svizzera (seconda lo scorso anno). Germania, Spagna e Francia si trovano rispettivamente al sesto posto (quarta nella classifica del 2018), e alla 25esima e 26esima posizione, per queste ultime due nessun cambio di ranking rispetto all’anno precedente. Stesso discorso per l’Italia che rimane stabile al 29esimo posto. Gli Stati Uniti, poi, confermano il 17esimo posto, mentre la Cina avanza di due posizione passando dall’87esima all’85esima posizione.
L’Indice di sviluppo umano venne creato nel 1990 dall’Undp con lo scopo di far capire quanto il Pil fosse una misura limitata nel descrivere il benessere e il progresso compiuto da una nazione. Ci sono infatti tutta una serie di parametri da considerare quando si vuole descrivere il grado di soddisfazione di una popolazione, parametri che sfuggono a questa misura macroeconomica.
In sostanza, il Rapporto 2020 dell’Undp si basa sul fatto che se vogliamo vivere in un mondo più giusto, equo e sostenibile, le persone devono avere la possibilità di vivere in armonia e di esprimere le proprie potenzialità. Possibilità messa con forza in discussione dal momento storico che stiamo vivendo, definito “senza precedenti”, dove l’attività umana è in grado di plasmare le sorti degli ecosistemi naturali. Per questo motivo, sostiene infine lo studio, non si possono escludere dall’analisi la crisi climatica e il crollo della biodiversità, due fenomeni strettamente legati al benessere umano ed esacerbati proprio dall’attività antropica sul Pianeta.
Nella tabella: i Paesi che occupano i primi e gli ultimi posti nella classifica dello Human development index 2020 corretto per tener conto degli effetti ambientali.
di Ivan Manzo