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Per la ripresa i Paesi investono più nell’energia fossile che in quella rinnovabile
Un rapporto Unep prevede un aumento medio annuo della produzione di energia da combustibili fossili del 2% fino al 2030, di gran lunga superiore ai livelli coerenti con l’Accordo di Parigi e in linea con le traiettorie pre-Covid. 15/12/20
Nonostante i (tanti) proclami sulla riduzione delle emissioni climalteranti, arrivati da quasi tutti i Paesi del mondo, la dura realtà ci mette di fronte a una situazione ben diversa. Di questo passo, infatti, le nazioni che solo cinque anni fa hanno firmato l’Accordo di Parigi aumenteranno la richiesta nel prossimo decennio di combustibili fossili, rendendo così vano qualsiasi tentativo di limitare l’aumento medio della temperatura terrestre entro 1.5° C (rispetto al periodo preindustriale), soglia suggerita dalla comunità scientifica dell’Ipcc (ente a supporto della Conferenza sul cambiamento climatico) per evitare i più gravi disastri imposti dal riscaldamento globale.
L’ennesimo allarme arriva stavolta dall’Unep, il Programma ambientale delle Nazioni unite, che attraverso il “Production gap report 2020”, pubblicato il 2 dicembre, ricorda ai Paesi che c’è bisogno di un brusco cambio di rotta per centrare l’obiettivo prefissato a Parigi, dando così una grossa spinta anche all’intera Agenda 2030. Il numero speciale di quest’anno esamina le implicazioni del fenomeno pandemico sulla produzione di gas serra e sul settore dell’energia e indaga come i governi possano preparare il terreno per una transizione a lungo termine dai combustibili fossili.
Per intraprendere un percorso coerente con quanto stabilito dai grandi accordi internazionali e dalla comunità scientifica, centrando così l’obiettivo di 1,5°C, l’Unep sostiene che tra il 2020 e il 2030 la produzione globale di carbone, petrolio e gas dovrebbe diminuire ogni anno rispettivamente dell'11% (carbone), del 4% (petrolio) e del 3% (gas). La parte più interessante dello studio sottolinea però che non si sta andando in questa direzione. A novembre i governi del G20 avevano impegnato 233 miliardi di dollari di misure di stimolo post-Covid in settori legati alla produzione e al consumo di combustibili fossili, rispetto ai 146 miliardi di dollari orientati al mondo dell’energia pulita. Una discrepanza importante tra intenzioni e fatti, nonché un aspetto che l’Italia dovrebbe sollevare nelle prossime riunioni del G20 per dare seguito alle dichiarazioni dei giorni scorsi, dato che per la prima volta presiede il summit tra le maggiori economie del mondo. Inoltre, secondo il Rapporto i Paesi pianificano e prevedono un aumento medio annuo del 2% della produzione di combustibili fossili da qui al 2030, un fatto che si tradurrebbe in una quantità di energia prodotta da fonti fossili che sarebbe oltre il doppio di quella che serve per mantenere l’aumento medio di temperatura entro 1,5°C. Percorso in contrasto con quanto richiede l’Unep, ossia di un taglio annuale della produzione di combustibili fossili del 6% da qui al 2030.
“Lo shock della domanda causato dalla pandemia e il crollo dei prezzi del petrolio quest'anno hanno dimostrato ancora una volta la vulnerabilità di molte regioni e comunità dipendenti dai combustibili fossili”, ha affermato Ivetta Gerasimchuk, autrice principale del Rapporto, “l'unica via d'uscita da questa trappola è la diversificazione delle economie per andare oltre le fonti fossili. Purtroppo nel 2020 abbiamo visto invece molti governi raddoppiare la produzione di combustibili fossili rafforzando ulteriormente queste vulnerabilità".
Infine, oltre a fornire indicazioni riguardo al modo equo con cui il mondo dovrebbe compiere questa transizione, nel rispetto dei diritti dei lavoratori (secondo il principio della “giusta transizione”), il Rapporto delinea sei aree d’azione per la classe politica per portare il mondo su un sentiero di sviluppo sostenibile, scongiurando al contempo i peggiori impatti della crisi climatica. Tra le azioni, rientrano la riduzione dei sostegni economici che i governi destinano al settore fossile; l’introduzione di restrizioni alla produzione di carbone, petrolio e gas; la predisposizione di piani di investimento legati al supporto di progetti che siano in linea con gli obiettivi climatici, in modo da stimolare la crescita della green economy, e la creazione di nuovi posti di lavoro green.
Il segretario generale delle Nazioni unite, António Guterres, ha così commentato lo studio dell’Unep: “Il Rapporto mostra senza dubbio che la produzione e l'uso di carbone, petrolio e gas devono diminuire rapidamente se vogliamo raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Ciò è fondamentale per costruire un futuro sicuro per il clima e per garantire economie forti e sostenibili. I governi devono lavorare per diversificare le loro economie e sostenere i lavoratori, anche attraverso le risorse destinate alla ripresa. Possiamo e dobbiamo ricominciare meglio e insieme”.
di Ivan Manzo