Mentre crescono le conoscenze su come costruire uno Spazio operativo sicuro, anche il Capo dello Stato richiama all’azione. Ma, alle porte delle grandi Conferenze ambientali, i Paesi continuano a finanziare il settore fossile.
Il concetto di limite ci affascina. I limiti rappresentano un confine tra ciò che conosciamo e l’ignoto, i limiti definiscono il permissibile e il proibito, il possibile e l'impossibile, aiutano la società a stabilire norme e valori. Superare un limite significa esplorare nuovi orizzonti, che siano geografici, mentali, sociali o scientifici. Ma i limiti ci pongono anche di fronte alle nostre vulnerabilità, alle nostre fragilità.
Al fine di comprendere dov’è il limite da non superare per permettere a ogni individuo sul Pianeta di vivere una vita dignitosa, negli ultimi anni si sta affermando sul panorama internazionale un innovativo filone scientifico a opera della Earth Commission, un team internazionale di scienziati sociali e naturali coordinati dall’organizzazione Future Earth, la più grande rete mondiale di scienziati della sostenibilità. Compito della ricerca è individuare dei limiti planetari, equiparabili a “paletti di sostenibilità”, oltre i quali non possiamo spingerci, pena il depauperamento di tutti i servizi offerti in modo gratuito dall’ambiente che consentono la formazione del benessere umano. Obiettivo finale è la costruzione di uno Spazio operativo sicuro per l’umanità che, guarda caso, ha in “Sos” il suo acronimo, definito come quello spazio che rispetta non solo i limiti (superiori) dello sviluppo rispetto allo stato della biosfera, degli ecosistemi, ecc., ma anche quelli (inferiori) sociali, la cui violazione impedisce alle persone e alle società di sperimentare una buona qualità della vita.
La notizia positiva è che sul tema si stanno facendo passi da gigante, quella negativa è che, sulla base delle nuove evidenze scientifiche, la salute del Pianeta e delle persone è sempre più a rischio. L’ultimo studio di questo filone di ricerca, pubblicato su the Lancet planetary health, dimostra che in futuro il Pianeta sarà in grado di garantire uno standard di vita di base per tutte e tutti se, e solo se, i sistemi economici e le tecnologie saranno trasformati radicalmente e le risorse essenziali saranno utilizzate, gestite e condivise in modo più giusto ed equo. In sostanza, ed è qui che risiede la grande novità di questo importante filone di ricerca, la scienza dei limiti, collegando il tema economico a quelli della giustizia sociale e ambientale, ci dice chiaramente che l’azione climatica, ma anche quella legata alla tutela della biodiversità, non può prescindere da politiche di redistribuzione della ricchezza e delle opportunità di consumo. Solo in questo modo, cioè riallocando risorse dai ricchi ai poveri, si può costruire un futuro sostenibile in cui miliardi di persone possono prosperare senza oltrepassare i confini planetari. Una conclusione che, di sicuro, farà storcere il naso ai sostenitori dell’economia neoliberista che tende a concentrare la ricchezza nelle mani di poche, e sempre meno, persone, salvo poi sperare che tale ammontare di ricchezza “sgoccioli” verso il basso, consentendo anche ai più poveri di migliorare la propria condizione.
Più in dettaglio, questo filone di ricerca ci segnala che esistono dei limiti per il clima, l'acqua dolce (superficiale e sotterranea), i fertilizzanti (azoto e fosforo), la biodiversità e gli inquinanti aerosol. Cinque aree interconnesse capaci di fornire le risorse critiche da cui dipendono la stabilità delle persone e del Pianeta. La seguente figura rivela che la situazione non è delle migliori: abbiamo già superato le soglie di sicurezza sul clima, sull’acqua dolce, sui fertilizzanti e sulla biodiversità.
Per quanto riguarda il clima, gli scienziati hanno scoperto che, se non vengono apportate significative modifiche nell’immediato alle politiche e al mondo dell’economia, non avremo alcun Sos in cui sperare. Anche perché la concentrazione di CO2 in atmosfera, che misura che fornisce il polso della situazione, si attesta oggi intorno alle 422 parti per milione (ppm), superando di gran lunga la soglia di sicurezza posta a 350 ppm.
Sul clima è intervenuto nei giorni scorsi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Le ricette semplicistiche per problemi complessi, come quelli che dobbiamo affrontare, sono adatte soltanto agli imbonitori – ha ammonito Mattarella durante un seminario sui cambiamenti climatici organizzato a Bonn (città in cui ha sede l’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici) -. Per troppo tempo abbiamo affrontato in modo inadeguato la questione della tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico, opponendo artificiosamente fra loro le ragioni della gestione dell’esistente e quelle del futuro dei nostri figli e nipoti”.
La questione “inadeguatezza” non fa distinzione, mette tutti sulla stessa graticola. Infatti, nessun Paese ha fino a ora dato seguito alle promesse, messe più o meno nero su bianco, sul taglio delle emissioni e la conseguenza è chiara: “abbiamo una probabilità dell’80% di sperimentare un aumento medio della temperatura terrestre di 1,5°C già nei prossimi cinque anni”, come ricorda l’ultimo rapporto di United in science. Un evento che vanificherebbe una parte fondamentale dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi (mantenere l’aumento medio della temperatura globale al di sotto di 2°C rispetto al periodo preindustriale, facendo il possibile per restare sotto l’asticella di 1.5°C), un limite stabilito per evitare lo stravolgimento del sistema climatico.
Nella categoria “inadeguatezza”, per citare ancora il Capo dello Stato, rientra in primo luogo l’investimento diretto o indiretto verso il settore dei combustibili fossili. Perché se è vero che per risolvere la crisi climatica abbiamo bisogno di una trasformazione rapida, ampia, multisettoriale e multilaterale, è altrettanto vero che la prima cosa da fare è semplicissima, almeno da spiegare: tagliare i finanziamenti ai combustibili fossili e smetterla di usarli il prima possibile. Un punto su cui troppi governi, banche, compagnie assicurative e agenzie di credito dimostrano di non voler cambiare rotta, neanche dopo la pandemia. Fin dal dicembre 2020 l’Unep (il Programma ambientale delle Nazioni Unite) ci aveva informato che, per stimolare la ripresa economica post-Covid, i governi del G20 stavano finanziando più il settore fossile di quello rinnovabile, mentre l’Fmi (il Fondo monetario internazionale) lo scorso anno ha indicato il raggiungimento di un record tutt’altro che rassicurante: nel 2022 il settore dei combustibili fossili ha beneficiato di almeno 7mila miliardi di dollari, tra sussidi diretti e indiretti (i primi vengono concessi dagli Stati per finanziare le tante attività delle aziende fossili o per incentivare l’acquisto da parte dei cittadini di beni e servizi ad alto contenuto carbonico; nei secondi rientrano tutti quei costi, sociali e ambientali, che le aziende dei combustibili fossili continuano a non pagare e a scaricare sulle spalle dei cittadini in termini di perdita di salute, di degrado ambientale e di inasprimento delle disuguaglianze).
Un flusso di denaro che va contro l’aspirazione allo sviluppo sostenibile, anche nei Paesi del Sud del mondo, in quanto l’ultimo studio di Actionaid, pubblicato il 18 settembre, rivela che i settori che danneggiano il clima beneficiano di sussidi (diretti) nel Sud del mondo per un importo medio di 677 miliardi di dollari all'anno, un valore pari a 40 volte quello che va alle energie rinnovabili. Peraltro, “L’Italia è il sesto tra i Paesi del G20 per sovvenzioni pubbliche ai combustibili fossili – ha dichiarato Cristiano Maugeri, Policy officer dell’area clima di Actionaid Italia -. A tale proposito va ricordato che è stata operata una modifica radicale al Fondo italiano per il Clima, trasferendo gran parte delle risorse al Piano Mattei, iniziativa che sembra mancare di qualsiasi aspirazione climatica.
Anche sul fronte dello sviluppo delle rinnovabili l’Italia sembra avere più di qualche problema. È notizia di questi giorni l’avvio della procedura d’infrazione nei confronti di 26 Stati della Commissione europea – tra cui il nostro – per non aver recepito integralmente le disposizioni introdotte dalla Direttiva 2023/2413/Ue (meglio conosciuta come Red III), relative alla semplificazione e all’accelerazione delle procedure autorizzative per l’installazione di fonti rinnovabili. Una materia su cui dovrà intervenire il “Testo unico per le fonti rinnovabili”, al momento in bozza, che però non soddisfa gli operatori del settore, anzi pare complicare le cose. “La bozza di decreto fallisce sia per quel che riguarda la semplificazione delle procedure sia per la razionalizzazione dei procedimenti autorizzativi”, si legge sul sito del coordinamento Free (Fonti rinnovabili ed efficienza energetica), organizzazione che raccoglie 25 associazioni attive nel settore delle rinnovabili.
Sull’energia pulita, sullo stato del capitale naturale e, in generale, sull’intera situazione italiana rispetto all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) presenterà il prossimo 17 ottobre il Rapporto 2024, un documento unico nel panorama nazionale che fornirà un quadro delle iniziative introdotte in Europa e nel nostro Paese sulle diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile.
Ma non tutto va nella direzione sbagliata e il contesto internazionale potrebbe, in questa fine del 2024, ancora riservare delle sorprese positive. Dopo l’approvazione del Patto sul futuro dell’Onu, impegno che i Paesi hanno sottoscritto con l’intenzione di dare una spinta all'attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, siamo alle porte delle tre grandi Conferenze ambientali adottate durante la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, e cioè la Cop delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), la Cop contro la desertificazione (Uncdd) e la Cop sulla diversità biologica (Cbd). Tra i tanti temi, la prima (la Cop 29 di Baku dall’11 al 22 novembre) dovrà chiarire quali impegni i Paesi intendono attuare per centrare l’obiettivo 1,5°C e la neutralità climatica al 2050, grazie anche a politiche di allontanamento dai combustibili fossili. La seconda sulla desertificazione (la Cop 16 di Riyhad dal 2 al 13 dicembre) avrà il compito di dirci come i governi intendono recuperare la resilienza di almeno un miliardo di ettari di terreno degradati entro il 2030. La terza, sulla tutela e il ripristino della biodiversità Cop 16, che si svolge dal 21 ottobre al primo novembre (durante il Summit Etifor presenterà i risultati di un sondaggio su imprese e sostenibilità, un’iniziativa di cui l’ASviS è networking partner), dovrà indicare la strada per proteggere almeno il 30% delle terre e dei mari entro il 2030, eliminando ogni anno almeno 500 miliardi di dollari di sussidi dannosi all’ambiente. Tre appuntamenti, strettamente collegati tra loro, in cui i Paesi, compresa l’Italia, dovranno guardare in faccia la realtà: cosa vogliamo fare per rientrare all’interno dei limiti e così assicurarci un futuro?
Fonte copertina: qimono, da pixabay.com