Notizie
Violenza di genere: serve un cambiamento culturale
Prendere seriamente in considerazione le segnalazioni di violenza, organizzare corsi di formazione e costruire una responsabilità condivisa: sono queste alcune delle proposte dell’Onu per porre fine alle molestie sessuali. 9/10/2019
Le violenze di genere sono sempre accompagnate da ragioni ideologiche e culturali: è questo l’assunto di “What will it take? Promoting cultural change to end sexual harassment”, diffuso il 17 settembre.
Il documento, focalizzandosi sulle pratiche da adottare per porre fine alla mentalità che si annida dietro ai comportamenti violenti contro le donne, offre una guida rivolta a politici, datori di lavoro e università su come affrontare questa piaga sociale, assicurandosi che le esigenze delle vittime siano al centro degli sforzi.
Realizzato da Purna Sen, coordinatrice esecutiva dell’Ente delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere e l'empowerment femminile (UN Women), la pubblicazione contiene anche una riflessione sulle radici culturali delle molestie sessuali di Catharine MacKinnon, femminista e docente di diritto presso l’Università del Michigan.
La pubblicazione evidenza come le ragioni profonde del fenomeno della violenza di genere abbiano radici culturali. La maggior parte delle culture promuove e permette forme di aggressione sessuale, operate dagli uomini e dirette contro donne e ragazze: spesso infatti le molestie psicologiche e fisiche sono giustificate in virtù dell’appartenenza a una certa comunità culturale e alle sue tradizioni.
La cultura non è qualcosa di fisso e immutabile che deriva dalla Natura: essa piuttosto è un costrutto artificiale e sociale in continuo cambiamento. In altre parole, la cultura crea il senso della società, ma è essa stessa una creazione sociale. Le molestie sessuali trovano il loro contesto all’interno di tale circolarità: la cultura dello stupro ha prodotto costumi e regole sociali con atteggiamenti dominanti che giustificano e promuovono le violenze di genere.
In questo contesto i sistemi culturali definiscono i generi attraverso stereotipi, cancellando i reali vissuti delle persone, privandoli di un autentico riconoscimento e distruggendo la credibilità delle loro narrazioni. In sintesi: gli abusi sono episodi che fanno parte di un sistema dove entrano in gioco ruoli di genere costruiti culturalmente.
Il documento intima i datori di lavoro e le istituzioni scolastiche a prendere velocemente una posizione rispetto alle molestie sessuali, perché esse vengano condannate definitivamente. La pubblicazione suggerisce quindi un approccio basato su cinque aree cardine per trasformare la parità e la lotta alla discriminazione in azioni concrete: zero tolleranza, focus sulla vittima di violenza, formazione, responsabilità collettiva e preparazione dell’ambiente giusto per testimoniare.
Zero tolleranza. Un approccio “tolleranza zero” significa prendere in considerazione seriamente qualsiasi tipo di segnalazione di violenza, e che i vertici di un’organizzazione rendano l’ambiente di lavoro sicuro per chiunque, indipendentemente dalla posizione contrattuale. Questo primo punto intende mettere in chiaro che la violenza non deve mai essere ignorata, minimizzata o giustificata.
Focus sulla vittima di violenza. L’organizzazione, che sia un’istituzione o un’azienda, deve scegliere un approccio centrato sulla vittima della molestia, optando per prendere posizione al suo fianco, accompagnarla e fare in modo che essa non si senta sola.
Il primo passo per favorire questo approccio è l’ascolto. È importante dare spazio alla vittima perché racconti la sua storia senza essere interrotta; bisogna ascoltare con pazienza, empatia e assenza di giudizio, evitando che il dialogo diventi un “interrogatorio” e curando il linguaggio utilizzato. Essere ricettivi ed empatizzare significa non dover sapere necessariamente ogni minimo dettaglio dell’accaduto e soprattutto evitare di colpevolizzare la vittima. Inoltre è essenziale dare priorità alla riservatezza e alla sicurezza della persona che riporta l’abuso, chiedendole di cosa ha paura, nonché assicurarsi che i principi di supporto alla vittima siano chiari a tutti e tutte coloro che la circondano.
Non solo, la molestia sessuale provoca una tale angoscia nella persona che la riceve da portarla ad allontanarsi dal luogo di lavoro o di studio, soprattutto se teme conseguenze pericolose dovute alla sua testimonianza. Chi ascolta deve prevedere questo possibile atteggiamento, fornendo risposte concrete per la tutela e la sicurezza psicologica e fisica della persona.
Formazione. Le organizzazioni spesso usano momenti di formazione al fine di migliorare il loro approccio per la lotta alla violenza di genere, che consistono in brevi appuntamenti o corsi poco interattivi, concentrati più sugli aspetti punitivi. Tale approccio risulta fallimentare e non raggiunge lo scopo di diffondere la cultura dell’equità e promuovere il rispetto per le differenze.
Una modalità efficace per fare formazione sui temi della violenza di genere è quella di impostare i corsi meno sulle competenze e più su una linea personale, mirata a mettere in discussione il punto di vista di ogni partecipante, così da generare un vero cambio di prospettiva.
Se da una parte organizzare corsi di formazione non è la soluzione, dall’altra, se cadenzati con regolarità, queste esperienze possono diventare uno strumento importante per favorire il cambiamento culturale all’interno dell’organizzazione, sia per quanto riguarda il lavoro di prevenzione che per migliorare le risposte alle molestie.
La formazione dunque dovrebbe funzionare come parte di un processo di cambiamento dell’organizzazione stessa, mediante la costruzione di luoghi di lavoro in cui vigono l’equità e il rispetto. In sostanza i corsi di formazione possono essere intesi come strumenti per stabilire una mobilitazione collettiva finalizzata a supportare il cambiamento.
Altro passo importante infatti è la costruzione di una responsabilità collettiva basata sulla cooperazione di tutte le persone che sono consapevoli della gravità delle molestie sessuali. In questo senso tutti e tutte devono essere coinvolti nel processo verso una cultura della parità condividendo dei principi base.
Una domanda che emerge spesso quando si parla di violenze di genere è: perché le vittime non testimoniano? Sembrerebbe la cosa più semplice da fare, eppure, per chi è obiettivo di violenza, denunciare può rappresentare un’opzione complessa. Testimoniare infatti può voler dire esporsi e rischiare; le vittime prendono decisioni ponderate, analizzando i vantaggi e le conseguenze di ogni loro scelta.
Le testimonianze di queste donne, emarginate all’interno e all’esterno del loro nucleo sociale, sono banalizzate da chi le circonda, e alla denuncia seguono spesso azioni vendicative. Un esempio di questa difficoltà è rappresentato dall’esperienza della comunità Lgbt+: secondo il documento, quasi sette persone su dieci hanno riferito di molestie sessuali sul lavoro, ma la maggior parte non ha denunciato per paura di essere denigrata dai colleghi. Solo una vittima su cinque ha riferito a un dirigente, ritenendo che non ne sarebbe derivata alcuna conseguenza negativa.
Gli sforzi per incoraggiare i racconti devono essere tesi alla salvaguardia della vittima. Per evitare il silenzio, è necessario cambiare mentalità rispetto a quello che significa e comporta denunciare una molestia, facendo comprendere alla vittima che può solamente trarre benefici reali e tutele. Per questo motivo è fondamentale preparare l’ambiente giusto per favorire le testimonianze.
Le donne vittime di violenza devono sapere di non essere sole ed essere consapevoli di avere il supporto sia da parte della società civile (ne è un esempio #Metoo, il più grande movimento globale contro le violenze sessuali) che dalle istituzioni (si pensi alla Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne - Cedaw o al Goal 5 degli SDGs “Parità di genere”, che presenta Target specifici legati all’eliminazione della violenza di genere).
di Eleonora Angeloni