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Fao: per gestire le migrazioni occorre investire nell’agricoltura locale
Rafforzare l’economia rurale nei Paesi poveri dovrebbe essere in cima alle agende politiche per chi intende mettere un freno ai flussi migratori. L’obiettivo è rendere le migrazioni “una scelta e non un bisogno”. 26/10/2018
Lo sviluppo delle zone rurali potrebbe essere utilizzato come un incentivo a non lasciare il luogo di nascita. L’ammodernamento delle tecniche e delle pratiche agricole nelle zone più povere del mondo donerebbe grossi benefici, aumentando da un lato la produttività delle materie prime e, dall’altro, spingendo sempre più persone, soprattutto i giovani, a preferire di lavorare in questo settore piuttosto che spostarsi verso grandi aree urbane.
Lo sostiene l’ultimo studio condotto dalla Fao dal titolo “2018 The State of Food and Agriculture Migration, Agriculture and Rural Development” (Sofa), reso noto il 15 ottobre, in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione (del 16 ottobre).
Nonostante i diversi risvolti positivi, l’agricoltura ancora oggi risulta troppo trascurata: non riceve da parte delle istituzioni e dei governi le attenzioni e le risorse adeguate, necessarie a valorizzare il settore. Per il Rapporto, lo sviluppo della “catena del valore agricolo” può offrire nuove opportunità alle popolazioni che vivono nelle zone rurali.
Gli aiuti internazionali attualmente si concentrano troppo sulle strategie in grado di arginare o consentire i flussi migratori e poco sui contributi che, invece, andrebbero a massimizzare il benessere sociale e economico delle popolazioni. Secondo il Sofa, la migrazione “deve partire da una scelta e non da un bisogno”, e le politiche dovrebbero essere in grado di garantire questa libertà.
Si “intende sostenere un dibattito realistico e spassionato sulla questione della migrazione per avere risposte politiche che affrontino le sfide e le opportunità che il fenomeno presenta”, afferma José Graziano da Silva, direttore generale della Fao, “l’obiettivo deve essere quello di renderla una scelta, minimizzando gli impatti negativi e mettendo in risalto quelli positivi. Ci sono situazioni dove va facilitata, offrendo nuove opportunità, ma allo stesso tempo bisogna garantire la possibilità di restare per i migranti rurali, promuovendo lo sviluppo di quelle aree”.
Sono i miglioramenti legati al settore agricolo, insieme a quello sanitario e dell’istruzione, a ridurre le migrazioni verso le città.
Sul piano globale, a differenza di quanto si pensi, la migrazione transfrontaliera è meno significativa di quella interna: più di un miliardo di persone che vivono nei Paesi in via di sviluppo sono restate nei propri confini, con l’80% che si è allontanata dalle zone rurali. Nelle regioni in via di sviluppo, dove c’è un maggior tasso di urbanizzazione, la migrazione rurale tocca il 50% dei movimenti interni, con punte superiori al 75% nell’Africa sub-sahariana.
Un fenomeno che va amministrato, anche perché chi si è trasferito una prima volta ha molte più probabilità di diventare un migrante internazionale. D’altra parte, le persone che decidono di restare possono contribuire alla manodopera agricola che in molti casi, ancora oggi, risulta difficilmente rimpiazzabile dalle tecnologie.
Occasione, questa, per creare nuovi programmi normativi basati sui diritti dei lavoratori, e per dare una spinta all’occupazione giovanile.
di Ivan Manzo