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Che cosa pensano gli italiani dell’accordo di pace in Medio Oriente?
Ben accolto per nove su 10, ma considerato poco duraturo. Il merito viene attribuito soprattutto ai leader arabi e a Trump, che per alcuni dovrebbe ricevere il Nobel per la Pace. Il ruolo dell’Italia? Civile, non militare. 28/10/25
L’accordo di pace siglato tra Israele e Hamas è stato definito dai media internazionali come una delle intese più significative degli ultimi anni per il Medio Oriente. Anche l’opinione pubblica italiana lo ha accolto con favore: secondo il nuovo rapporto Radar pubblicato da Swg il 19 ottobre 2025, l’89% dei cittadini e delle cittadine lo considera un fatto positivo.
Eppure, a fronte di questo ottimismo generale, emergono forti perplessità sulla tenuta dell’intesa e sulla sua equità. Solo l’11% degli italiani e delle italiane crede che durerà “molti anni”, mentre il 33% pensa che avrà una durata di qualche mese, il 30% prevede che durerà solo qualche settimana e appena il 26% confida in un orizzonte pluriennale.
La valutazione si muove quindi tra un desiderio di pace e un realismo diffuso, alimentato dalla consapevolezza che molte questioni cruciali tra le parti siano rimaste irrisolte.

Un giudizio polarizzato sull’equità dell’accordo
L’intesa raggiunta viene percepita con uno sguardo sfaccettato: solo il 31% degli italiani e delle italiane la considera abbastanza equilibrata, mentre una quota quasi equivalente (28%) la reputa troppo favorevole a Israele. Appena il 9% la ritiene invece sbilanciata a favore di Hamas. Ma il dato più rilevante è che un terzo del campione (32%) non sa esprimersi sull’argomento, un elemento che riflette l’incertezza, la complessità geopolitica e la scarsa accessibilità delle informazioni a disposizione del pubblico.
La divisione dell’opinione si rispecchia anche nelle diverse aree politiche: gli elettori e le elettrici di centrodestra tendono a vedere l’accordo come bilanciato, mentre tra gli elettori e le elettrici di opposizione prevale la percezione di uno sbilanciamento pro-Israele. L’analisi rivela così come la valutazione geopolitica dell’intesa sia condizionata anche dall’appartenenza politica.

Trump e leader arabi riconosciuti come principali mediatori
Altro elemento interessante del Rapporto riguarda la percezione degli attori protagonisti del processo di pace. Agli occhi degli italiani e delle italiane, i veri artefici dell’accordo non sono le parti in conflitto, ma soggetti terzi con un ruolo da mediatori o facilitatori. In cima alla lista figura Donald Trump, a cui il 74% attribuisce un ruolo importante. Seguono i leader dei Paesi arabi (61%), la cui influenza regionale viene riconosciuta come decisiva. Anche la pressione dell’opinione pubblica mondiale è considerata rilevante dal 52% del campione.
Molto più marginale, invece, il contributo riconosciuto alle due parti in causa: solo il 34% ritiene che il governo israeliano abbia avuto un ruolo significativo e appena il 30% assegna un merito ad Hamas. Ancor più residuale è il giudizio sul ruolo europeo: solo il 26% degli italiani e delle italiane pensa che i leader dei Paesi Ue abbiano avuto una parte importante nel raggiungimento della pace, una valutazione che rafforza l’idea di un’Europa marginale nelle dinamiche internazionali.
Il dato forse più sorprendente è che il 17% degli italiani e delle italiane pensa che Trump meriterebbe il Premio Nobel per la Pace 2025. Questo riconoscimento simbolico, pur minoritario, sottolinea quanto l’ex presidente americano venga percepito come figura influente anche a livello globale, indipendentemente dalle valutazioni sul suo operato interno.
Ruolo dell’Italia: aiuto umanitario, non truppe
Sul possibile contributo italiano nella fase successiva all’intesa, l’opinione pubblica mostra una linea piuttosto coerente. L’invio di militari nell’area come forza di peacekeeping raccoglie solo il 21% delle preferenze, mentre viene giudicato molto più opportuno un coinvolgimento di tipo civile e cooperativo. Il 41% degli italiani e delle italiane ritiene che l’Italia debba monitorare l’esecuzione e il rispetto degli accordi, il 37% suggerisce di finanziare progetti umanitari e il 25% di sostenere la ricostruzione di Gaza.
Altre ipotesi, come formare il personale palestinese (23%) o stipulare accordi commerciali (19%), restano secondarie. Solo il 12% pensa che l’Italia non debba avere alcun ruolo in questa fase. Il dato complessivo suggerisce che gli italiani e le italiane auspicano un’azione concreta, ma non militare né strategica: piuttosto un ruolo da osservatore attivo e da partner per lo sviluppo umano e infrastrutturale.

Un’Italia cauta, tra speranza e disincanto. Nel complesso, il quadro che emerge dal rapporto Swg è quello di un’Italia che accoglie con favore il cessate il fuoco, ma non si illude sulla sua durata, né sulla capacità delle parti di risolvere i nodi strutturali del conflitto. La fiducia si orienta verso attori esterni e più riconoscibili, mentre si riduce la speranza che Israele e Hamas possano gestire autonomamente un percorso di pace duraturo.
L’Europa, percepita ai margini, viene superata in visibilità da attori come Trump e dai leader arabi. L’Italia, da parte sua, viene immaginata con un ruolo limitato, ma utile: non un protagonista sul terreno, ma un supporto per la pace e la ricostruzione, in linea con la tradizione diplomatica e di cooperazione del nostro Paese.
Copertina: Ansa
