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“Le fondazioni sono enzimi che generano dialogo e progetti condivisi”
L’evento nazionale sulle fondazioni si è concentrato sul ruolo e il valore di questi enti: attori abilitanti, che puntano sul “fare insieme” per rispondere ai bisogni della comunità, traducendo la sostenibilità in azioni concrete. 20/10/22
Al ruolo delle fondazioni nel perseguimento dei 17 Obiettivi Onu, è stato dedicato l’evento nazionale del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2022 “Persone, Pianeta e Prosperità: il contributo delle fondazioni”, organizzato dal Gruppo di lavoro ASviS Fondazioni per lo sviluppo sostenibile e realizzato grazie al tutor Cefla, svoltosi la mattina di martedì 18 ottobre presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma, la “casa del Festival”.
Moderato da Laura Bettini di Radio 24, l’evento ha visto l’introduzione di Daniela Castagno, coordinatrice del Gruppo di lavoro, che ha offerto una panoramica della realtà delle fondazioni in Italia, ricordandone l’ampio numero di soggetti (più di 7mila) e l’eterogeneità di mission che le contraddistingue, ma rimarcandone anche i tratti condivisi: l’interesse al bene comune, il supporto alle comunità, la propensione al cambiamento, la capacità di mettere in relazione diversi soggetti attraverso il know how e il capacity building. “Le fondazioni hanno la capacità di fare da tramite tra il globale e il locale e ciò significa tradurre in gesti concreti le azioni che possono portare alla realizzazione dell’Agenda”.
In foto: Daniela Castagno
A seguire, Paolo Venturi, direttore di Aiccon, nel suo keynote speech ha sottolineato come tra le dimensioni in cui può esplicitarsi il ruolo erogativo tipico delle fondazioni, ovvero quello “additivo o complementare” (aggiungere a quello che già c’è) e quello “riparatorio” (intervenire sui problemi), c’è una terza dimensione, quella trasformativa, che è la più importante perché lo sviluppo sostenibile postula la trasformazione. “Avere un ruolo trasformativo significa connettere, capacitare, creare economie e filiere territoriali, alimentare infrastrutture sociali. Bisogna individuare le vulnerabilità ovvero prevenire bisogni potenziali attraverso reti, luoghi di significato e piattaforme che potenzino l’inclusione. Trasformare oggi, per le fondazioni, implica “mutualizzare”, ossia legare, non basta più raggiungere un obiettivo”.
Un secondo elemento su cui si è soffermato Venturi è stato il rapporto delle fondazioni con il settore non-profit: un alleato fondamentale per “co-produrre” le azioni, ma che va supportato, aggregato e valorizzato dalle fondazioni, dal momento che oltre il 62,5% delle 370mila organizzazioni che compone il settore è fatta di micro-organizzazioni che non hanno sufficiente capacità d’impatto. “Il sense of community va preso come driver per selezionare i soggetti dello sviluppo sostenibile: non basta identificare cosa si fa, ma va valutata l’ownership delle comunità, ovvero il coinvolgimento delle persone nei progetti che noi generiamo”. Infine, il direttore di Aiccon, facendo un rapido excursus sull’evoluzione del ruolo delle fondazioni, ha spiegato come “oggi siamo in un terzo tempo dove il welfare è più plurale, più inclusivo e generativo e dove il benessere si può raggiungere solo all’interno di un ordine sociale dove ci siano Stato, mercato e società civile e quindi anche le fondazioni, che però devono recuperare un ruolo civile, alimentando uno sviluppo integrale, non solo sostenibile, ma inclusivo della dimensione antropologica e comunitaria.”
In foto: Paolo Venturi
Il primo panel, dedicato al tema delle persone e del lavoro, è stato aperto dall’intervento di Gianmaria Balducci, presidente di Cefla, il quale ha raccontato in breve l’impegno della cooperativa sul territorio e sulla sostenibilità, un impegno sempre crescente e trasversale che sta interessando tutti gli ambiti dell’organizzazione e che è culminato con la nomina di un sustainability manager affinché definisca una strategia integrata, anche di lungo termine.
in foto: Gianmaria Balducci
Poi è stata la volta di Francesco Reale di Fondazione Adecco, che ha illustrato i focus su cui si concentra l’attività della fondazione, ovvero quella dell’inclusione di soggetti fragili nel mondo del lavoro: dalle persone con disabilità, a donne in situazione di svantaggio fino ai rifugiati. Contemporaneamente, la fondazione cerca di fornire alle persone gli strumenti per affrontare un colloquio e aiuta le imprese a essere inclusive. Reale si è infine soffermato sul tema della formazione finanziata, considerata una grande opportunità ma che troppo spesso è poco conosciuta, quindi “vanno coinvolti maggiormente i soggetti legati alle politiche attive del lavoro, come ad esempio i centri dell’impiego”.
In foto: Francesco Reale
Ambrogio Dionigi ha invece raccontato l’esperienza di Insieme per il lavoro, il progetto di cui è coordinatore e che nasce dalla collaborazione tra Comune, Città metropolitana e Arcidiocesi di Bologna per accompagnare l’inserimento nel mondo del lavoro di persone alla ricerca di occupazione. Il modello operativo è quello immaginato da Stefano Zamagni, con tre soggetti: una parte pubblica, una privata, una non-profit, ma tutte sullo stesso livello. “Attraverso la fondazione San Petronio, che sta a tutti gli effetti dentro questa rete, possiamo agire velocemente attraverso bandi e finanziamenti. Ma se avessimo aspettato i tempi della pubblica amministrazione” – ha continuato Dionigi - probabilmente non avremmo fatto mai in tempo a formare queste persone (ndr operai edili e personale sanitario in tempo di Covid) per la richiesta che c’era sul mercato in quel momento”. Il messaggio è chiaro: fare bene, fare presto, sia perché le persone hanno poco tempo per formarsi, sia perché bisogna rispondere alle esigenze delle imprese che spesso hanno difficoltà a trovare persone qualificate.
In foto: Ambrogio Dionigi
Ad aprire il secondo panel, dedicato al Pianeta, e specificatamente alle comunità energetiche, è stato Federico Beffa di Fondazione Cariplo, che ha raccontato come il bando “Alternative” sia nato proprio per sostenere le comunità energetiche sostenibili che per la fondazione rappresentano soggetti importanti sia per dare una spinta comunitaria intorno al tema dell’energia, sia per la loro rilevanza sociale in questo periodo di crisi e di difficoltà per molte famiglie.
In foto: Federico Beffa
Annamaria Imparato, di Legambiente Campania, ha parlato invece dell’”avventura energetica” portata avanti in collaborazione con Fondazione con Il Sud nel quartiere San Giovanni a Teduccio di Napoli, dove è stato realizzato un impianto di autoconsumo prima ancora che le comunità energetiche avessero una codificazione legislativa. Imparato però ha sottolineato come queste, pur incarnando un modello in grado di coniugare giustizia sociale, cambiamento culturale e giustizia ambientale, siano soggette ancora a tanti limiti giuridici. “C’è bisogno di strade più accessibili per avere le informazioni, ma anche di velocizzare gli iter normativi. Inoltre noi di Legambiente” – ha continuato – “sappiamo che per raggiungere gli obiettivi climatici di Parigi servono anche grandi impianti. Per questo chiediamo alle grandi compagnie di lasciare come opera compensativa sul territorio le comunità energetiche, perché quando si costruisce un parco eolico in mare, sul territorio non c’è un ritorno vero in termini di impatto. Le rinnovabili sono “energie di pace”, ma spesso creano conflitti sui territori”.
In foto: Annamaria Imparato
Il terzo intervento del panel è stato affidato ad Anita Del Pizzo, di Fondazione Enel, che ha spiegato come le attività messe in campo dalla sua organizzazione per sostenere iniziative verso la transizione energetica globale, si concretizzino principalmente in due filoni: quello della ricerca, ovviamente in campo energetico, e quello della formazione, attraverso un network di esperti ed accademie che offrono programmi di alta formazione rivolti sia a talenti emergenti che a rappresentanti delle istituzioni.
Inoltre, Fondazione Enel è membro dell’Ifec, l’Italian forum of energy communities, un’iniziativa permanente che ha l’obiettivo di sostenere lo sviluppo delle comunità energetiche in Italia e che la fondazione supporta mettendo a disposizione le evidenze dei propri studi. “Ma a volte scarseggiano i dati” – ha evidenziato Del Pizzo. “Oggi avere a disposizione dei dati specifici di diverso tipo, dal punto di vista della nostra ricerca, potrebbe essere molto utile per fare analisi di impatto sia economico che sociale”.
In foto: Anita Del Pizzo
Il terzo e ultimo panel dell’evento ha visto al centro il tema della prosperità e dell’empowerment sociale.
Per la Fondazione Vincenzo Casillo ha preso la parola Silvia Ferrero, che è partita dall’etimologia della parola “prosperità”, “pro-spere”, ovvero pro-abbondanza per indicare il senso di dinamicità che contraddistingue il percorso verso il benessere. Un benessere che la fondazione si impegna a perseguire a favore della comunità barese su cui ha sede l’omonima azienda, partendo dalla formazione della persona.
Citando il professore Mauro Magatti dell’Università Cattolica, Ferrero ha messo l’accento sul ruolo delle fondazioni che “sono fatte per essere degli “enzimi” che permettono reazioni e facilitano il dialogo tra vari enti di un territorio, poiché sono interlocutori capaci di parlare con più entità diverse sviluppando progetti condivisi”. A sostegno di questa tesi, Ferrero ha citato l’esempio di “School food”, programma sul consumo sostenibile e consapevole nelle scuole che ha visto il coinvolgimento di tutti gli attori e una “responsabilità orizzontale fondata sul valore condiviso.
In foto: Silvia Ferrero
A seguire Mirta Michilli, della Fondazione Mondo digitale, ha posto l’accento sull’importanza dell’”educazione alla vita” e sul concetto di sostenibilità interiore. “Se per molto tempo gli studiosi si sono soffermati sulla sostenibilità esterna, oggi diventa sempre più importante parlare di “sostenibilità interiore” ovvero del livello di valori, condizioni e atteggiamenti che fungono da fondamento interiore alla vita degli individui” – ha sottolineato Michilli. Questo concetto porta a quello della “sostenibilità olistica”, basata sulla teoria degli ecosistemi personali, ovvero sull’insieme di fattori e dimensioni interne ed esterne che influenzano l’individuo secondo sette sfere: la mente e il corpo, gli averi, le relazioni, le organizzazioni di appartenenza, le infrastrutture e culture, le tendenze globali. “Alla base del nostro impegno c’è proprio questo: quello di costruire e ricostruire, allineando la dimensione interna ed esterna. La sfida degli ecosistemi personali è quindi anche una sfida educativa”. Michilli, infine, ha parlato della “real time evaluation”, un metodo operativo per correggere in tempo reale ciò che non va bene in un progetto, e del tema dei Neet, evidenziando l’importanza del network per dare fiducia e accompagnamento ai giovani.
In foto: Mirta Michilli
Le conclusioni della giornata sono state affidate a Maria Luisa Parmigiani, co-coordinatrice del Gruppo di lavoro Fondazioni, che ha messo in luce i principali messaggi emersi. In primis che le fondazioni non sono solo erogatori, ma attori abilitanti e che sono spiccatamente eterogenee fra loro in termini di natura giuridica, competenze, ambito d’intervento, etc. Altra evidenza: nessuno fa più niente da solo. Il “fare insieme” si può fare in modi diversi, ma il senso è sempre lo stesso, solo così si può dare risposte ai bisogni. Non c’è più un rapporto solo tra le fondazioni e i beneficiari, ma c’è un capitale relazionale. Terzo elemento: la capacità delle fondazioni di essere “accountable”, di misurarsi. Per fare bene le fondazioni devono avere competenze tecnico-scientifiche, devono essere efficaci ed efficienti perché gestiscono beni comuni, fattore che le carica di responsabilità ancora maggiori. Ultimo aspetto importante: le fondazioni devono essere capaci di agire nel breve, ma nello stesso tempo avere un’ottica di lungo periodo ed essere antesignani di percorsi che si realizzeranno nel futuro. Un certo “strabismo” quindi, che rappresenta però una ricchezza fondamentale. “Io credo che il ruolo delle fondazioni sia destinato a crescere assumendo ruoli strategici come attori sociali in un welfare state che cambia. Speriamo di renderlo sempre più concreto dando corpo a una progettualità condivisa, pur con tante specificità diverse, ma con la consapevolezza che l’Agenda 2030 possa essere un collante straordinario per questo”.
In foto: Maria Luisa Parmigiani
Di Elita Viola