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PARITÀ DI GENERE

Raggiungere l'uguaglianza di genere e l'empowerment (maggiore forza, autostima e consapevolezza) di tutte le donne e le ragazze

In Italia, solo il 16,2% delle laureate ha una laurea Stem (discipline scientifiche), contro il 37,3% degli uomini, nonostante un +5% delle iscrizioni femminili. Rimane al di sotto della media europea la padronanza di competenze digitali e finanziarie. Nell’Ue il 17% circa degli specialisti Ict (Information and communications technology) e un laureato Stem su tre è donna.

Gender gap e AI: servono formazione e fiducia nelle competenze delle donne

Due studi recenti mostrano le disparità di genere nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale. A pesare, rileva l’Economist, una mancanza di fiducia nelle proprie capacità. Ma il rifiuto dell’AI potrebbe giovare alla concentrazione.  27/8/24

martedì 27 agosto 2024
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L’avvento e la diffusione dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa sono stati accolti da una grande preoccupazione per gli impatti sui posti di lavoro, con una serie di professioni che potrebbero presto diventare desuete a causa di questa nuova tecnologia. Ma l’AI, come ha evidenziato l’economista David Autor nel paper “Applying AI to rebuild middle class jobs”, potrebbe potenzialmente diminuire le disuguaglianze tra i lavoratori. Un’affermazione che non sembra però valere per le disparità di genere: anche se svolgono le stesse mansioni o studiano lo stesso argomento, le donne utilizzano con meno frequenza l’intelligenza artificiale rispetto agli uomini, sia al lavoro che in contesti formativi. Lo rileva un articolo pubblicato il 21 agosto dall’Economist, che evidenzia come il gender gap sia significativo anche nell’utilizzo di strumenti come ChatGPT.

A guidare l’utilizzo dell’AI nell’ambiente lavorativo sono le persone giovani, con poca esperienza e un alto tasso di raggiungimento degli obiettivi e, soprattutto, uomini. Una fotografia che emerge dai risultati del sondaggio condotto da Anders Humlum dell’Università di Chicago ed Emilie Vestergaard dell’Università di Copenhagen. Lo studio ha analizzato l’utilizzo di ChatGPT in ambito lavorativo su un campione di 100mila lavoratori e lavoratrici danesi, in 11 professioni diverse, tra cui giornalismo, sviluppo di software e insegnamento. I dati sono abbastanza eloquenti: per esempio, solo un terzo delle insegnanti donne del campione utilizza ChatGPT al lavoro, rispetto alla metà dei colleghi uomini.

Il divario è confermato anche da uno studio della Banca dei regolamenti internazionali (Bis), che in un paper pubblicato l’11 giugno mostra come il 50% degli uomini del suo campione statistico di riferimento abbia utilizzato l’intelligenza artificiale negli ultimi 12 mesi, a fronte del 37% delle donne. Questa differenza, è la precisazione, non può essere giustificata con diversità demografiche come il reddito, l’educazione, l’età o la provenienza etnica.

La spiegazione di questo divario di genere nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, secondo Humlum e Vestergaard, è dovuta a “una mancanza di fiducia nelle donne” sulla loro capacità di utilizzare l’AI senza una previa formazione. “Le donne che non usano l’AI”, spiega l’articolo, “avevano più probabilità degli uomini di sottolineare di aver bisogno di formazione per usare la tecnologia”. Basterebbe quindi una maggiore attenzione delle aziende a fornire alle lavoratrici le competenze giuste per incentivarle ad utilizzare l’AI per colmare questo divario? O ci sono cause più profonde?


DA FUTURANETWORK.EU - CERTIFICAZIONE DELLA PARITÀ, ITALIA PRIMA IN EUROPA


AI: ausilio o distrazione?

Secondo Tera Allas dell’agenzia di consulenza McKinsey, l’AI sta pervadendo la vita lavorativa contemporanea, e potrebbe favorire maggiormente gli uomini, che la usano con più facilità, tagliando fuori le donne. Allas commenta il secondo studio menzionato dall’articolo dell’Economist, ovvero un sondaggio realizzato da Daniel Carvajal, dell’Aalto University, e da Catalina Franco e Siri Isaksson della Norwegian school of economics. L’analisi, condotta su 486 studenti, ha mostrato che la percentuale di ragazze dell’istituto norvegese che usavano ChatGPT era di 18 punti inferiore a quella dei ragazzi. Dopo un’ulteriore ricerca, basata sui risultati degli esami di ammissione alla scuola, è risultato evidente che il gap rifletteva i comportamenti delle donne con prestazioni accademiche medio-alte. In altre parole, le ragazze con prestazioni accademiche basse avevano le stesse probabilità degli uomini a utilizzare l’AI.

Non è invece dello stesso avviso Danielle Li, del Massachusetts institute of technology (Mit), secondo cui il sondaggio non prova che utilizzo di ChatGPT da parte degli uomini si traduca in uno studio di migliore qualità o più produttivo. Anzi, per il momento questa tecnologia sembra poco più di un “gioco digitale” e forse le ragazze, conclude Li, sono semplicemente “più brave a evitare di distrarsi”.

 

Fonte copertina: golubovystock, da 123rf.com

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